DAGOREPORT: PD, PARTITO DISTOPICO – L’INTERVISTA DI FRANCESCHINI SU “REPUBBLICA” SI PUÒ…
Aldo Baquis per "la Stampa"
Quando pensa a Israele, a Hillary Clinton a volte viene in mente l'Iran. Specialmente quando le capita di sapere che in certi autobus di zeloti ultraortodossi, per volere di rabbini estremisti, le donne sono segregate nella parte posteriore dei veicoli. O quando soldati religiosi abbandonano a precipizio quelle cerimonie militari in cui le soldatesse osino cantare in pubblico, cosa contraria al concetto di modestia elaborato negli ultimi anni per loro da rabbini oltranzisti. «Meglio il plotone di esecuzione, piuttosto che ascoltare una donna che canta», ha stabilito in questi giorni un rabbino-colono.
Forse Hillary Clinton ricorda con nostalgia un altro Israele, quello che secoli fa, sotto la guida di Yitzhak Rabin, puntava alla riconciliazione con i palestinesi. Così sabato, quando ha partecipato a Washington con alcuni esponenti israeliani ad una riunione del «Centro Saban per la politica medio-orientale», il Segretario di Stato ha dato libero sfogo a tutta la sua amarezza.
Doveva essere uno scambio di vedute a porte chiuse: ma naturalmente poche ore dopo i siti Web israeliani erano stracolmi di citazioni. E come nel caso della «gaffe» di Barack Obama nel recente incontro con Nicolas Sarkozy (in cui il presidente Usa, dietro a un microfono che riteneva chiuso, ammise di essere «stufo» del premier Benjamin Netanyahu), anche in questo caso l'evento si è trasformato in una eloquente candid camera.
La Clinton ha palesato apprensione per il futuro della democrazia israeliana, ha deprecato le leggi in preparazione alla Knesset, il Parlamento israeliano, che rischiano di limitare la libertà di espressione. In particolare ha stigmatizzato una legge che mira a vietare a governi stranieri di finanziare organizzazioni che si oppongono alla politica del governo israeliano. Una volta - ha rilevato - i comuni ideali democratici saldavano le relazioni fra Stati Uniti e Israele. Se Israele ha deciso ora di cambiare volto - ha lasciato intendere, con tono afflitto - il futuro delle relazioni diventa più incerto.
Il giorno prima lo stesso Segretario alla difesa Leon Panetta aveva accusato Israele di essere corresponsabile dell'isolamento mondiale in cui si trova. «Tornate al dannato tavolo dei negoziati con i palestinesi», ha esclamato. E ha invitato a riallacciare le relazioni con i vicini Egitto e Turchia, molto peggiorate.
Unendo lo sfogo di Obama, a quello di Panetta a quello della Clinton l'israeliano della strada ha potuto farsi un'idea abbastanza chiara sul livello di esasperazione dell'Amministrazione nei confronti del governo Netanyahu. Il quale resta comunque determinato a procedere per la sua strada. «Negli anni Trenta - ha rilevato un deputato del Likud - gli Stati Uniti approvarono una legge contro gli "agenti stranieri" molto più dura della nostra contro i finanziamenti governativi stranieri».
«La nostra democrazia è viva, sprizza salute» ha assicurato un ministro. Parole che non tranquillizzano tuttavia la Associazione per i diritti civili (Acri), che ha pubblicato ieri un rapporto preoccupato sul futuro della democrazia in Israele, né il presidente della Corte Suprema Dorit Beinish che ancora nei giorni scorsi ha denunciato con forza il tentativo di politici di destra di intimidire i giudici.
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