DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Stefano Re per “Libero quotidiano”
Sabotare il governo per rifarsi un'identità. Usare la consegna di armi italiane a Kiev e la costruzione dell'inceneritore a Roma come pretesti per uscire dalla maggioranza. Più passa il tempo, più i grillini che fanno capo a Giuseppe Conte si vanno convincendo che, se vogliono avere un futuro, può essere solo a danno dell'attuale maggioranza e del "campo largo" immaginato da Enrico Letta.
L'ultima doccia fredda sono le liste per le Comunali: in nessuna delle 26 grandi città in cui si voterà il 12 giugno, il M5S si presenta con un proprio candidato sindaco.
Per non estinguersi completamente ed eleggere un po' di consiglieri comunali, i suoi esponenti locali si sono ridotti quasi ovunque a fare le mosche cocchiere del Pd.
Eppure sono gli stessi centri nei quali si era votato cinque anni fa, e al termine di quella tornata l'Istituto Cattaneo, analizzando i risultati, aveva proclamato i Cinque Stelle vincitori della sfida: «Pur essendo riuscito ad andare al ballottaggio soltanto in 10 comuni su 159, il M5S mostra un "tasso di vittoria" nel secondo turno pari all'80%, il risultato più alto rispetto a tutti gli altri schieramenti considerati...».
Non sarà così, stavolta, perché candidati sindaco non ce ne sono. E non ci sono perché la struttura del movimento, in gran parte del territorio, non esiste più.
Gli arrabbiati della prima ora sono tornati nella zona dell'astensione o sono andati in cerca di conforto da Gianluigi Paragone, il cui partito, Italexit, nelle medie dei sondaggi ora è sopra al 2%, e presenta candidati sindaco propri in città come, Asti, Alessandria, Cuneo, Como, Monza, Pistoia e Viterbo. E molti degli altri elettori, quelli che avevano contribuito al grande successo delle elezioni del 2018, sono evaporati.
LA "RICETTA RAGGI"
Si lavora già per le elezioni politiche che si terranno tra un anno, quindi, e i sondaggi che danno il movimento al 13%, in lenta ma costante discesa, dimostrano che la "cura Conte", sinora, non ha funzionato. Occorre cambiare ricetta. Virginia Raggi, che nonostante la batosta rimediata a Roma è ancora un punto di riferimento per ciò che resta della base e per Beppe Grillo, la sua ricetta l'ha illustrata ieri, intervistata da Repubblica.
Prevede che il M5S voti contro il "decreto Aiuti" (che consente la costruzione di un termovalorizzatore dei rifiuti nella capitale) anche se Mario Draghi dovesse blindarlo con la fiducia, che si opponga all'invio di armi all'Ucraina e che «riparta dalla propria identità», ossia senza allearsi col Pd, «altrimenti si fanno scelte sbagliate».
GIUSEPPE CONTE CON ENRICO LETTA
Linea che Conte condivide quasi integralmente, e con lui una metà dei gruppi parlamentari del movimento. E queste tensioni probabilmente non potranno scaricarsi giovedì, quando Draghi si presenterà nelle aule di Camera e Senato per la sua «informativa urgente sugli sviluppi del conflitto tra Russia e Ucraina».
Per le «informative», infatti, a differenza che per le «comunicazioni» del premier, non è previsto che i parlamentari presentino mozioni da votare: forte del mandato già ricevuto dalle camere, Draghi parlerà, confermerà le decisioni prese e nessun eletto del movimento odi un altro partito potrà sottoporle al giudizio dell'assemblea.
La contrarietà dei Cinque Stelle dovrà quindi sfogarsi in altre occasioni. I grillini vogliono comunque che in aula si voti sulla cessione di armi all'Ucraina, e per questo stanno preparando un documento parlamentare che sperano di calendarizzare entro breve. Se non ci riusciranno, potranno "smarcarsi" da Draghi durante l'esame di uno dei tanti provvedimenti governativi (tra cui il "decreto Aiuti", appunto).
Magari sventolando la bandiera della "transizione ecologica", come propone la Raggi, e in combutta con Articolo 1, il partito di Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza, con quale il M5S, come dicevano ieri gli uomini di Conte, ha «una solida collaborazione e condivisione di temi».
enrico letta e giuseppe conte 2
GLI ULTIMI AVVERTIMENTI
Dentro al Pd, la convinzione è che Conte sia ormai pronto allo strappo. Così si moltiplicano gli avvertimenti. Chi è vicino a Enrico Letta avvisa il capo politico del M5S di fermarsi qui, perché è a rischio l'accordo elettorale, e a meno di un mese dalle amministrative sarebbe difficile da spiegare agli elettori. Chi è all'opposizione di Letta, come il senatore Andrea Marcucci, si rivolge direttamente al segretario: «Non si possono fare alleanze con chi mette in discussione il governo, l'Europa, la Nato.
Conte deve sapere che c'è un limite che non si può oltrepassare». Fiuta aria di tempesta pure Luigi Di Maio, al quale fa capo almeno metà delle truppe parlamentari del movimento. Non potendo mediare tra russi e ucraini, il ministro degli Esteri prova almeno a tenere a bada il suo partito. Intervistato su Rai 3, ieri ha assicurato che «Conte ha sentito le parole di Draghi a Washington e le ha sentite molto vicine a lui. La forza politica a cui appartengo è stata molto responsabile sull'Ucraina, ha stabilito aiuti finanziari, accolto tutti i pacchetti sanzioni e accettato l'invio di armi per la legittima difesa dell'Ucraina». Un quadro idilliaco ben distante dalla realtà, come Conte intende dimostrare molto presto.
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