COME MAI ALLA DUCETTA È PARTITO L’EMBOLO CONTRO PRODI? PERCHÉ IL PROF HA MESSO IL DITONE NELLA…
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Come scrive il “Daily Telegraph”, la caduta del regime di Putin potrebbe non essere così lontana.
Le sanzioni occidentali e il blocco alla compravendita di gas e petrolio russi all’Europa ha costretto il Cremlino a dirottare le sue risorse naturali verso Cina e India.
La "diversificazione" dei clienti ha costretto Putin a ridurre i prezzi dell'energia, con un contraccolpo notevole sulle finanze di Mosca.
La guerra in Ucraina, nonostante l’attivismo di Trump, che un giorno promette pace e quello dopo minaccia ritorsioni, all’uno e all’altro fronte, non sembra essere prossima al termine, e allo zar Putin è arrivata anche una inaspettata legnata dalla rivolta in Siria, innescata dal turco Erdogan, che ha portato alla destituzione del suo vassallo Assad.
In Siria, la Russia ha due basi, quella navale di Tartus e quella aerea di Khmeimim, che rappresentano il suo avamposto sul Mediterraneo.
Putin è stato costretto dagli eventi a correre ai ripari e a scendere a patti con i signorotti della nuova Siria che fino all’altro ieri inneggiavano alla Guerra Santa, per mantenere il suo presidio militare. Agli occhi del Cremlino al Jolani e i suoi compagni non sono altro una schiera di jihadisti travestiti da agnellini. Restano, per Putin, gli stessi "terroristi" che la Russia ha sempre combattuto a ogni latitudine, dall’Afghanistan alla Cecenia fino alla guerra civile iniziata nel 2011 in Siria.
RECEP TAYYIP ERDOGAN DONALD TRUMP
A irritare Putin ha contribuito il ruolo decisivo di Erdogan, che ha finanziato e sobillato le schiere sunnite nella cavalcata verso Damasco, depotenziando un utile alleato di Mosca (Assad).
Il ducetto di Ankara ha potuto giocare le sue carte in Siria sfruttando al momento giusto il lavoro sporco condotto negli ultimi mesi da Netanyahu.
È grazie alle bombe israeliane su Hezbollah in Siria e in Libano, su Hamas con Gaza rasa al suolo, e agli attacchi mirati in Iran, che la “filiera” degli ayatollah si è inceppata, lasciando Assad senza protezione, complice l’impegno militare ed economico russo in Ucraina.
Inoltre, l’attacco israeliano ai siti militari dell’ex regime alawita, pur pubblicamente criticato da Erdogan (che ha parlato di “aggressione israeliana in Siria") fa comodo a tutti, soprattutto ai turchi, perché lascia Al Jolani e i fondamentalisti del “terzo polo della sharia” senza armi né esercito. Considerata la presenza di almeno cinque fazioni in campo (Hts, curdi, turchi, cellule Isis, e ciò che resta dei lealisti di Assad), togliere dallo scacchiere l'importante potenza di fuoco degli arsenali di Assad dovrebbe aiutare la “stabilizzazione” della polveriera siriana.
Caduta Damasco, Putin e Khamenei si trovano indeboliti e ancora più vicini, a spalleggiarsi nel ruolo degli sconfitti.
Il prossimo obiettivo, dopo la cacciata di Assad, per l’Occidente, è l’Iran.
A Teheran c’è una situazione instabile: il regime è in difficoltà a governare un Paese con un’economia stagnante a causa delle sanzioni, e con i giovani sempre più insofferenti di fronte alla teocrazia oscurantista.
Importanti scricchiolii per i pasdaran arrivano dalla spaccatura politica all’interno del regime: ai super falchi, che da sempre spingono per dotarsi di armamenti nucleari, ora si oppone un fronte variegato che spinge a maggiore prudenza, nell’attesa di capire che cosa farà Trump in Medioriente.
Essendo il tycoon un leader imprevedibile, che si muove in modo tattico e non strategico, è impossibile anticipare le sue mosse. Tanto vale aspettare.
Le crepe nel regime islamista di Teheran sono ancora sotto il livello di guardia, ma rappresentano il segnale che nulla sarà più come prima in quell’area.
Come Putin, anche Khamenei teme che si stia avvicinando l’inizio della fine, quello che in Russia chiamano “momento Gorbaciov”. Per il “Telegraph”, a Mosca è molto vicino. E in Iran?
hangar dell esercito siriano distrutto dagli attacchi israeliani navi della marina siriana distrutte dagli attacchi israeliani
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