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Carlo Tecce per "il Fatto Quotidiano"
Luisa Todini, umbra di Perugia, dove nacque nel ‘66 da un padre che la narrazione familiare vuole contadino a cottimo e dove possiede una tenuta sconfinata, è un’imprenditrice ambidestra. Appare ovunque, comanda ovunque. Le capita di coprire la zona più rigogliosa di terreno, politica o affari non fa la differenza. Ha sommato per mesi un doppio incarico pubblico, presidente di Poste Italiane e consigliere Rai.
S’è dimessa da Viale Mazzini nel momento più opportuno per sfruttare l’effetto mediatico. Il Cda vota per il ricorso contro il prelievo da 150 milioni di euro ordito da Matteo Renzi, la Todini lascia sdegnata e finge di sacrificare la poltrona. L’epilogo è scontato: interviste, commenti, giudizi piccati. Ha sostenuto che i giornalisti di Viale Mazzini sono affascinati dal potere. A Todini, il potere va incontro.
Vent’anni fa, pioniera della categoria “figlie di”, Silvio Berlusconi la candidò per le Europee. La giovane Luisa disse che il padre Franco le suggerì di utilizzare una vecchia Fiat Croma, quelle automobili che smarmittano come ciminiera e rendono plumbea e plebea la ricchezza. Era un tocco di immagine, forse più importante dei 450 milioni di lire che la società Todini versò all’ambiziosa rampolla per la campagna elettorale. Luisa fu spedita a Strasburgo che aveva già dimenticato l’adolescenza socialista. Al ritorno fu colpita dall’ennesima amnesia politica.
A pensarci, non era così berlusconiana, non era così convinta da Forza Italia, e fu l’amica Stefania Prestigiacomo a spingerla verso l’ex Cavaliere. Interrotta l’esperienza parlamentare, la società Todini proseguì a finanziare Forza Italia, e pure Massimo D’Alema (15.000 euro). Perché l’impresa è meglio se tesa a un assiduo trasversalismo. Ogni volta che va compilata una lista di ministri, il nome di Luisa ci rotola dentro. Il passaparola o l’allusione funziona sempre. E l’assenza, ancora di più. Il gruppo Todini, alleato di Salini, durante il secondo governo di Berlusconi, ebbe il fatturato in ebollizione, appalti di qua, varianti autostradali di là.
Molto ambita, la Todini raccontò di essere corteggiata sia da Walter Veltroni che dal redivivo Berlusconi, seppur in quel periodo - era il 2008 - stesse per convertirsi al lettismo, soprattutto per la versione festaiola di VeDrò di Enrico Letta, dei ragazzi degli anni 60, degli adulti smaniosi in ritardo. O degli ex ragazzi non ancora sazi. Perché Luisa di cadreghe ne ha collezionate, tante: Todini costruzioni, cda di Salini, Ecos Energia, Istituto per la Promozione Industriale, Federazione degli industriali europei, cda Università Luiss, comitato Leonardo, Centro per il dialogo Italia-Russia e Fondazione Italia-Usa.
Forse la Todini è l’unica al mondo che potrebbe far riscaldare i rapporti fra New York e Mosca, sarebbe capace di essere russofila nei giorni pari e americanofila nei dispari. In Russia, ci andò davvero, assieme ai vertici di Eni, Enel e Finmeccanica e al premier Romano Prodi. Di martedì, era una presenza fissa a Ballarò, lì scoprì un’amica, Renata Polverini.
Più o meno sei anni fa. Era berlusconiana in sonno; l’ex Cavaliere voleva che tornasse attiva per la Regione Lazio. Luisa organizzò una cena a casa. Non sapevamo - è una sua citazione - che in una coppia è lei che regge lo scolapasta. A tavola, si tennero le primarie di Ballarò. Berlusconi era con Gianni Letta, Luisa con l’adorata Polverini. L’ex Cavaliere preferì la sindacalista. Tra i commensali c’era una tale Stefania Giannini, rettore a Perugia, pronta a sbarcare nella capitale. C’è riuscita con qualche anno di attesa, adesso è ministro. Per ripicca, Todini divenne tifosa di Mario Monti.
Dopo il sequestro di un casale a Roma per una ristrutturazione abusiva, fu recuperata dai tecnici nel Cda Rai, in quota leghista, più esattamente in quota Isabella Votino, portavoce di Roberto Maroni. Per la tornata di rinnovi nelle partecipate pubbliche, primo impegno del governo Renzi, s’è fatta trovare già renziana.
Un po’ esausta per le recenti delusioni, disse: “Sono come la sora Camilla: tutti la vonno, nessuna se la pija”. Presa al volo, in Poste Italiane, nonostante non fosse pratica con le corrispondenze cartacee. Forse per stanare i maligni, la scorsa estate ha scritto un editoriale dal titolo: “Lettera d’amore al tempo dell’emoticon”. Più che un curriculum, un francobollo.
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