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FLASH! - SIAMO UOMINI O GENERALI? PER L'OTTUAGENARIO CALTAGIRONE LA CATTURA DEL LEONE DI TRIESTE E'…
Gian Maria De Francesco per âIl Giornale'
Un anno fa la Spagna era un Paese tecnicamente in default, messa molto ma molto peggio dell'Italia gui¬data da Mario Monti. Lo spread con il Bund tedesco, lo «spau¬racchio » che misura il differen¬ziale di rendimento tra i titoli di Stato, era ancora a quota 510 punti. Il tasso di disoccupazio¬ne a¬veva raggiunto il record sto¬rico del 27,2% e il sistema banca-rio locale ve¬rsava ancora in con¬dizioni difficili tanto da ricorre¬re a un'iniezione di capitali da 40 miliardi di euro dal Fondo salva-stati dell'Ue, l'Esm.
Sono passati dodici mesi e lo scenario è total¬mente cambiato. Dopo 9 cali trime¬strali consecutivi, il Pil spagnolo è tornato a crescere segnando nel peri¬odo luglio-set¬tembre 2013 ( l'ul¬timo misurabile) un incoraggiante +0,1 per cento. La disoccupazione è calata di oltre un punto percentua¬le e si attesta ora al 26% grazie alla creazione di 135mila posti di la¬voro, soprattutto nella parte più «ricca» e turistica del Paese (Catalo¬gna, Baleari e Va-lencia). Lo spread è sceso a 201 punti, superando quello italiano (ieri a quota 203) e le banche non sono più nel mirino.
Che cosa è successo in Italia nello stesso periodo? Sono stati bruciati altri 400mila posti di la¬voro, la disoccupazione è salita al 12,5% (quella giovanile è ai massimi storici oltre il 40%) e il Pil soprattutto non è ancora tor¬nato a crescere: il nostro Paese è formalmente ancora in reces¬sione. La spiegazione del disa¬stro è tutta nel dato macroeco¬nomico «principe»:l'andamen¬to dell'occupazione. In Spagna si creano opportunità lavorati¬ve, qui da noi no.
Il governo di centrodestra gui¬dato da Mariano Rajoy, appena entrato in carica nel 2012, ha su¬bito riformato il mercato del la¬voro rendendo meno onerosi per le imprese i licenziamenti (in Spagna non esiste l'articolo 18, in caso di crisi basta solo pa¬gare un indennizzo). Più facili sono diventate le assunzioni per le aziende con meno di 250 dipendenti sgravandole di gran parte del carico contributi¬vo, quel «cuneo fiscale» che il governo Letta non riesce mini¬mamente a limare.
Inoltre è sta¬to dat¬o più spazio alla flessibili¬tà anche a livello aziendale (me¬no spazio per il sindacato): i contratti di apprendistato val¬gono fino a 30 anni, mentre per i nuovi assunti c'è una finestra di licenziabilità di 3 anni (idea che Matteo Renzi ha copiato da Rajoy).Una dimostrazione del¬l'efficacia? In Spagna si produ¬cono 2 milioni di autovetture al¬l'anno contro le 600mila italia¬ne pur non essendoci un solo costruttore nazionale.
Eppure, anche in Italia esisto¬no variegati sgravi per chi assu¬me e si parla sempre di tagliare le tasse e di sburocratizzare (an¬che Saccomanni s'è convinto di averlo fatto). Ma in Italia esi¬ste pure la «riforma Fornero» che irrigidisce l'apprendistato, limita l'uso dei contratti atipici e di fatto perpetua l'articolo 18 (dimostrare a un giudice la sus¬sistenza dei motivi economici è un'impresa). Il ministro Enrico Giovannini in 9 mesi non ha cambiato una virgola e i dati parlano chiaro.
La Spagna, va detto, ha fatto i «compiti a casa» richiesti dal¬l'Ue. Zapatero, prima di lascia-re, ha tagliato del 10% gli stipen¬di pubblici e la contrattazione aziendale porta con sé la mode¬razione salariale tanto che l'in¬flazione nel 2013 s'è fermata al¬lo 0,2% (+1,2% quella italiana). Il compito dell'Italia, invece, è stato tutto «pasticciato» e non s'è nemmeno trovato un accor¬do con la «maestrina» Merkel per evitare il solito 4 in pagella.
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