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Sebastiano Messina per La Repubblica
«Abbiamo bisogno di parole nuove» scandiva Beppe Grillo dal palco bolognese di piazza Maggiore: la prima l' aveva inserita lui stesso nel titolo della kermesse fondativa dei Cinquestelle, ed era «Vaffanculo». Sembra ieri, e invece sono già passati dieci anni da quell' 8 settembre 2007 un decennale che il M5S celebrerà venerdì a Trieste - e da allora molte cose sono cambiate per Grillo e i suoi seguaci. Quel giorno, riempiendo le più importanti piazze d' Italia, vivevano lo "statu nascenti" di un movimento che sfidava "la casta dei politici".
Oggi sono una forza politica che nelle mappe dei sondaggi naviga intorno alla linea del 30 per cento e si dice pronta a governare l' Italia, tanto è vero che entro settembre sceglierà - il come è incerto, il chi invece no - il suo candidato premier. E dunque è arrivato, non solo per loro, il momento di chiedersi cosa è davvero cambiato, dentro e fuori il Movimento 5 Stelle.
«Non faremo un nuovo partito» disse Grillo in piazza Maggiore, e ha mantenuto la promessa. Il suo è davvero un non-partito, senza un segretario, senza una direzione nazionale, senza dirigenti locali, senza una sede, senza un giornale. Eppure ha un capo - lui - e un potentissimo regista - Davide Casaleggio - che tirano le fila di tutto, e decidono ogni cosa.
Certo, in teoria le scelte importanti avrebbero dovuto farle gli iscritti, tramite il Web. Anzi, tramite «la Rete», nuovo territorio virtuale della democrazia grillina. Ma i siti del Movimento - che poi sono proprietà privata di Grillo e Casaleggio, come il simbolo e il nome - sono stati attivati solo per votare programmi da tenere nel cassetto, o riforme a puntate (per fortuna già dimenticate). Quando si è trattato di prendere decisioni importanti, come il voto sulle unioni civili, dibattiti e referendum online sono stati accuratamente evitati, e chi ha osato chiedere il dibattito è stato messo alla porta all' istante: tra espulsioni e dimissioni, i gruppi M5S hanno perso finora 40 parlamentari su 163 (21 deputati e 19 senatori).
La battaglia contro la casta invece è ancora oggi - insieme al reddito di cittadinanza, che batte persino la falsa promessa berlusconiana, «meno tasse per tutti» - la vera bandiera del Movimento, e quell' assegno gigante che periodicamente i grillini sventolano in piazza Montecitorio, sommando il finanziamento non incassato e le quote di indennità devolute al microcredito, intercetta benissimo la rabbia di chi non perdona ai parlamentari i loro "stipendi" di 14 mila euro, e magari non sa che qualche grillino - come il deputato Carlo Sibilia, quello che ancora oggi crede che lo sbarco sulla Luna sia stata "una farsa" - in un mese "restituisce" 1689 euro ma ne riceve 12.775 come rimborso spese (oltre all' indennità di 3257 euro).
TERZO VAFFADAY GENOVA FOTO LAPRESSE
Tolto questo, cosa è cambiato con il Vaffa Day? È cambiato il lessico, ed è cambiato il peso del web nelle dinamiche della politica, due novità che messe insieme hanno avuto un effetto deflagrante. Sdoganato in piazza quell' 8 settembre di dieci anni fa, il "vaffanculo" che il fondatore gridò contro un Gentiloni allora ministro delle Comunicazioni, insieme a un "testa di cazzo" contro Sgarbi - è stato solo il primo lemma di un nuovo lessico, seguendo una linea dettata dallo stesso Grillo: «Voi siete meravigliosi, i figli di puttana sono dall' altra parte».
Quella linea segnava un confine - "noi" contro "loro" - che è stato difeso giorno dopo giorno innalzando un muro di insulti che doveva rendere impossibile ogni dialogo e impedire così ai "cittadini portavoce" pentastellati di essere contaminati dalla casta e infettati dal virus del compromesso.
C' è del metodo, dunque, nelle filippiche del tribuno Di Battista contro «questi farabutti, ladri, amici dei mafiosi», contro un Parlamento fatto di «gentaglia, impostori, bugiardi seriali» o contro un governo «amico dei ladri e connivente con il crimine organizzato». Un metodo che ha fatto nascere e crescere sul web la marea dell' insulto e che ha trasformato il turpiloquio nella formula standard dei tweet anti-casta e anti-tutti, fino a raggiungere quella piazza dove gli ambulanti romani, al solito Di Battista che li aizzava contro i giornalisti, hanno gridato «Maledetti bastardi!», «Servi! » e «Ammazziamoli tutti!» senza che lui battesse ciglio.
Dieci anni dopo, dunque, quel che resta di quell' 8 settembre senza armistizio è l' insulto elevato a slogan, quel «Vaffanculo! » che ha cambiato il dibattito politico. In peggio, purtroppo.
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