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Monica Guerzoni per “il Corriere della Sera”
MASSIMO DALEMA PIERLUIGI BERSANI
Un Parlamento di nominati è inaccettabile, un punto imprescindibile...». Tra la buvette e il Transatlantico di Montecitorio, Bersani non si stanca di declinare i suoi no alle scelte di Renzi, dando corpo e voce allo stato d’animo della minoranza: «Il premier deve sciogliere l’ambiguità, deve spiegarci l’incoerenza. Perché acceleri sulla legge elettorale, se non vuoi andare a votare?».
L’opposizione si è ormai convinta che la corsa sull’Italicum abbia un solo obbiettivo, le urne. Per questo alza i toni e avrebbe alzato fisicamente i tacchi, in direzione, se il segretario-premier avesse chiesto un voto sulla sua relazione.
PIERLUIGI BERSANI MASSIMO DALEMA
In vista della convention dei bersaniani sabato a Milano, la sinistra prova a unire le forze. Le diverse anime critiche coordinano ogni mossa e ieri sera anche Massimo D’Alema ha partecipato al vertice che ha preceduto la riunione del parlamentino del Pd (dove però l’ex premier non si è fatto vedere, per impegni precedenti). Alle sette di sera, alla Camera, gli oppositori di Renzi ci sono tutti. Ecco Bersani, D’Alema, Fassina, Damiano, Epifani, Cuperlo, Speranza, D’Attorre, Zoggia... Bindi è impegnata all’Antimafia, ma è come se ci fosse. «Riunione unitaria», sottolineano i partecipanti e concordano la linea.
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«Se Renzi ci chiede di votare un documento noi ci alziamo e ce ne andiamo», spiega Zoggia. E D’Attorre: «La direzione non può essere il luogo dove si ratificano gli accordi fatti con Berlusconi». Questione di metodo, a cui Renzi risponde con un secco: «Non credo di aver bisogno di un mandato esplicito della direzione».
Il dissenso è a tutto campo, dalla legge elettorale al Jobs act, alla politica economica. Stefano Fassina teorizza l’uscita dall’euro? E Bersani, che pure non è d’accordo, lo difende: «È una posizione paradossale, che non va banalizzata». L’ala civatiana ha voluto rendere ancor più evidente lo smarcamento disertando la direzione «last minute».
Alle dieci di sera Pippo Civati sale al Nazareno, ma i suoi delegati, una ventina, restano a casa e annunciano lo strappo criticando lo «scarso preavviso della convocazione» e ironizzando sul patto del Nazareno: «Facciamo tanti auguri a Renzi per gli incontri, sicuramente molto più approfonditi, che dedica a Berlusconi e Verdini».
C’è chi diserta e chi si fa sentire. Fassina chiede «correzioni profonde» alla delega del lavoro e la possibilità, per i cittadini, di scegliere «tutti i parlamentari». I renziani attaccano.
Ma Bersani, contro i cento capilista bloccati, è categorico: «Perché dobbiamo andare avanti con i nominati?». Eppure, sul punto cruciale della delega del lavoro, cerca la chiave per conciliare «il dissenso di merito e la lealtà al Pd». E se il governo porrà la fiducia? «Non voglio crederlo».
Sul Jobs act piovono emendamenti: 15 su 550 portano le firme dell’ala sinistra, che chiede paletti anche su demansionamento, voucher e controlli a distanza e non vogliono votare il testo del Senato, quello che cambia lo Statuto dei lavoratori. «Aver messo al centro il tema dell’articolo 18 è stato un errore», attacca Bersani. «Vogliamo correzioni profonde», gli fa eco Fassina. Per scongiurare la fiducia si cerca una mediazione sul reintegro in caso di licenziamento disciplinare ingiusto, oggetto di uno degli emendamenti della minoranza «dem.
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