ESCLUSI E INCAZZATI - DALLA GRAN BRETAGNA ALLA POLONIA, LA RABBIA DEI PAESI UE (MA SENZA L’EURO) AL DUETTO MERKEL-SARKOZY SUL CAMBIO DEI TRATTATI EUROPEI - A LONDRA TORNA LO SPIRITO DEI “RIBELLI DI MAASTRICHT”: “SE DAL VERTICE UE USCIRÀ UN NUOVO TRATTATO, BISOGNERÀ INDIRE UN REFERENDUM E FAR DECIDERE IL POPOLO” - CAMERON: “NON FIRMERÒ SENZA GARANZIE”...

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Luigi Offeddu per il "Corriere della Sera"

A volte ritornano, come ammoniva Stephen King. E questa volta, è tornato Bernard Jenkin. Il conservatore inglese che nel 1992 capeggiò i «ribelli di Maastricht» contro la firma dell'omonimo trattato, nonché il deputato nudista più famoso di Gran Bretagna, si è rifatto sentire non appena si sono zittite le voci di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, o i moniti severi delle agenzie di rating. E ha profetizzato che il primo ministro David Cameron dovrà per forza convocare un referendum nazionale, se dall'imminente vertice di Bruxelles uscirà un nuovo Patto dell'Unione Europea: «Bisogna che il popolo si esprima».

E se il presunto nuovo Patto riguarderà solo i 17 Paesi dell'Eurozona, di cui la Gran Bretagna non fa parte? Anche in quel caso, insistono i conservatori più inflessibili, ci vorrà un referendum, perché le novità nel campo dell'euro cambieranno, o stravolgeranno, gli equilibri nei rapporti con il Regno Unito.

Cameron si è finora difeso argomentando che le prerogative britanniche non vengono messe in discussione dai negoziati in corso: dunque, almeno per ora, nessun referendum. Ma anch'egli sa bene che niente, di quel che succede «di là», può restare senza conseguenza in terra britannica (che concentra sulle nazioni Ue il 60% delle sue esportazioni). E comunque assicura: «Non firmerò un Trattato che non contenga protezioni necessarie per la Gran Bretagna».

Ma anche in Polonia, o in Danimarca, è lo stesso: e così in tutti gli altri 10 pezzi d'Europa che non partecipano alla moneta unica, e tuttavia ne vivono i sussulti sulla propria pelle. I moniti dell'agenzie di rating e la nuova Eurozona che (forse) si delinea a Bruxelles tengono in ansia tutti. Anche quelli che più si sforzano di non darlo a vedere. La frase non detta è «non lasciateci soli».

La Polonia, per esempio, locomotiva che nell'ultimo trimestre ha visto il suo Pil crescere del 4,2%, lancia messaggi che vogliono essere rassicuranti ma hanno anche il tono dell'emergenza: «Il nostro Paese - ha detto ieri il suo primo ministro Donald Tusk - non solo ha deciso di non ostacolare gli sforzi compiuti per la zona euro, ma al contrario di sostenere tutti quei tentativi che ne accelerino il salvataggio, perché è questo l'obiettivo supremo».

E proprio questo, dice ancora Tusk, si può fare «attraverso un nuovo Trattato, cosa che noi preferiremmo, ma anche con un accordo internazionale, che può sembrare meno vantaggioso ma d'altro canto più rapido». In ogni caso, è importante «ritrovare la credibilità della zona euro»: e qualunque nuova soluzione escogitata dai 17 o dai 27 leader a Bruxelles «non deve escludere i Paesi fuori dalla zona euro che desiderino partecipare a questo processo».

A Londra, invece, tutta la discussione sulla necessità o meno di un referendum ruota intorno all'«EU Act», o Atto dell'Unione Europea. È il documento annunciato dalla Regina nel 2010 e che, come spiegano i testi ufficiali del Foreign Office, «assegna al popolo un maggior controllo sulle decisioni prese in suo nome dal governo o dalla Ue». Più precisamente, «l'EU Act assicura che se in futuro vi sarà un cambiamento ai Trattati europei che trasferisca un potere o un settore della politica dal Regno Unito alla Ue, allora il governo dovrà ottenere il consenso del popolo britannico in un referendum nazionale, prima che quell'atto possa essere concordato».

In questo modo, «vi sarà sui Trattati Ue un lucchetto-referendum di cui solo il popolo britannico avrà in pugno la chiave». Margareth Thatcher, nel 1992, disse quasi lo stesso con le parole pronunciate dal collega Disraeli, 120 anni prima: ciò che solo conta è «la salvaguardia delle nostre libertà costituzionali, delle istituzioni democratiche, e della responsabilità del Parlamento davanti al popolo britannico». Ai tempi di Disraeli la Ue non c'era, ma lo spirito nazionale non è forse cambiato molto.

 

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