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Maria Teresa Meli per il "Corriere della Sera"
La fotografia di Vasto si è strappata: è il primo effetto del governo Monti nel centrosinistra. L'alleanza a tre, Bersani-Vendola-Di Pietro, infatti vacilla. Era inevitabile nel momento in cui il Pd è entrato in una maggioranza di cui fanno parte il Pdl e il Terzo polo, mentre Sel, fuori dal Parlamento, si schiera con la Fiom e la Cgil, e l'Idv, pur avendo dato il via libera parlamentare a Monti, annuncia che se verrà messa la fiducia non voterà la manovra economica.
Ma è soprattutto tra Bersani e Di Pietro che volano accuse pesanti come mazzate. Il casus belli sono le parole pronunciate dall'ex magistrato nei confronti del governo: «Prende i soldi ai poveri cristi. Finita l'emergenza bisogna andare a votare, già in aprile». Dichiarazioni, queste, che non sono piaciute a Bersani, che vi ha letto l'evidente intento di mettere in difficoltà il Pd con il proprio elettorato e con la sinistra.
«Sono affermazioni che non condivido - spiega al Tg3 -. Se questa è la posizione di Di Pietro, andrà per la sua strada. A noi non interessa vincere sulle macerie del Paese, l'Italia prima di tutto. Se uno vuole mettere i suoi interessi personali prima dell'Italia, credo che ci saranno dei problemi nei rapporti». In (ritrovata) sintonia con Bersani, Casini: «Chi parla di elezioni è matto da legare».
Di Pietro non tarda molto a reagire all'attacco di Bersani. Lo fa con parole ancora più dure: «Stupisce l'atteggiamento intimidatorio e ricattatorio dell'amico Pier Luigi, lontano anni luce dal paese reale che soffre. Dal governo Monti gli italiani si aspettavano misure eque, giuste e non norme dettate da banchieri, speculatori e proprietari dell'industria bellica. Invece di attaccare noi, provi a interpellare i suoi elettori e vedrà che è lui a rischiare l'isolamento dall'Italia reale».
Con queste frasi Di Pietro scopre il suo gioco: in ballo ci sono i consensi del popolo del centrosinistra. E la cosa ovviamente mette in difficoltà il segretario del Pd, che ha già i suoi guai a rassicurare elettori e militanti. Hanno parlato anche di questo problema nella riunione del coordinamento che si è tenuta l'altro ieri a tarda sera. E per ovviare ai malumori della base, Bersani, in quel consesso, ha invitato i dirigenti del partito a «ricordare ogni volta nelle nostre dichiarazioni che se si è arrivati a questo è per colpa del governo Berlusconi».
Dopodiché il segretario ha spiegato che i margini di manovra sono quelli che sono e che il Pd dovrà votare la manovra anche se non vi saranno significativi cambiamenti: «So che sono misure durissime, ma gli italiani capiranno che è giusto fare sacrifici». Infine, un altro suggerimento ai colleghi parlamentari: «Dobbiamo però dire con onestà quello che non va in questa manovra e dobbiamo farlo anche in futuro ogni volta che ci sarà un provvedimento che non ci convince».
Per il resto, il gruppo dirigente del Pd dà l'impressione di avere le mani legate. Anche se c'è chi scalpita. Ieri sera sia Stefano Fassina che Cesare Damiano hanno annunciato che aderiranno allo sciopero indetto dalla Cgil. à stato l'unico vero momento di tensione della riunione.
Paolo Gentiloni e Franco Marini hanno criticato con durezza questa presa di posizione. «à una follia», ha detto il primo. E l'ex presidente del Senato ha spiegato che il Pd «non può appoggiare il governo e scendere in piazza contro la manovra». Era un atteggiamento che si poteva avere fin tanto che c'era Berlusconi a Palazzo Chigi, ma ora sarebbe incomprensibile.
Insomma, per una parte del Pd non si può pensare di trattare questo come un governo amico: «à il nostro governo». Una tesi che trova perfettamente d'accordo Sergio Chiamparino, che in mattinata spiega a qualche collega: «Dobbiamo lavorare, mattone per mattone, non metterci da una parte a guardare da una certa distanza quello che fa Monti, altrimenti il rischio è quello di rimanere isolati e di regalare questo governo a Berlusconi».
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