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Da "La Repubblica"
Le dimissioni di Gianni Cuperlo da presidente aprono lo scenario di una possibile scissione nel Pd e confermano una legge meccanica della politica italiana. Tutte le volte che la sinistra rischia di sconfiggere Berlusconi nelle urne, trova subito il modo di perdere. Si tratta di un film in replica dal '93 e fino all'anno scorso, come i cinepanettoni, con varianti minime. Nell'ultima campagna elettorale il Pd era partito con 12 punti di vantaggio sulla destra e ha finito con un pareggio disastroso.
Anche oggi, dopo le primarie, il partito di Renzi, secondo tutti i sondaggi, è volato di 10-12 punti sopra Forza Italia. Immediato è scattato il meccanismo di autodistruzione, la voglia irrefrenabile di farsi del male. L'occasione o il pretesto della rottura è l'accordo sulla nuova legge elettorale. Un tema importante sul quale, spiace dirlo, non si riesce più a prendere sul serio nessun leader e nessun partito.
Sul sistema elettorale che dovrà sostituire l'incostituzionale porcata abbiamo assistito negli ultimi anni a una ridicola girandola. Grillo e il Movimento 5Stelle, che non c'erano prima, hanno recuperato il terreno cambiando proposta quattro volte in pochi mesi. Si può tuttavia capire la necessità di una discussione anche molto dura all'interno del centrosinistra e fra le sue tante anime. Quello che nessuno capirebbe è una scissione nel Pd alla vigilia di un'impresa storica.
Il compito storico per cui questo partito è nato è quello di sconfiggere Berlusconi con il voto e chiudere la stagione infelice della seconda Repubblica. Un'impresa finora sempre fallita. Anche quando il centrosinistra, nelle sue varie forme, ha vinto le elezioni, in realtà non le aveva vinte. Se proprio adesso, a un passo dall'obiettivo fondante, il Pd si spacca, allora può significare soltanto una cosa.
Che il gruppo dirigente della sinistra è composto da politici mediocri, tanto egocentrici quanto incapaci, del tutto inadeguati a guidare una grande nazione. Al contrario di quanto si è detto per tanti anni a sinistra, a giustificare i fallimenti, sconfiggere Berlusconi e il berlusconismo non era e non è così complicato. Basta cambiare le cose, fare le famose riforme. Il berlusconismo è una malapianta della democrazia che poteva e può crescere soltanto nello stagno dell'immobilismo, del quale è al tempo stesso la garanzia.
A distanza di un ventennio dalla discesa in campo, il bilancio dell'epoca di Berlusconi è semplice. Si è trattato del ventennio in cui l'Italia ha cambiato di meno, dall'Unità in poi. Abbiamo gli stessi problemi di venti anni fa, soltanto molto più gravi perché nel frattempo il mondo intorno si è messo a correre. Noi siamo sempre qui a discutere soltanto di cose che avremmo potuto e dovuto fare al principio degli anni Novanta e non si sono fatte: le riforme del lavoro e del fisco, quelle della burocrazia e della giustizia, del sistema politico, del bicameralismo perfetto, dell'istruzione, della rappresentanza sindacale.
E poi la legge sul conflitto d'interessi e la lotta alla corruzione, fino alla normativa sulle coppie di fatto e alla costruzione di nuove carceri. Il segreto banale del berlusconismo imperante era l'antica regola del Gattopardo: non cambiare nulla. Se l'Italia non fosse cambiata, anzi se fosse addirittura regredita, grazie anche alle sue belle televisioni, non sarebbe neppure cambiato il consenso alla bolsa, ridicola promessa anni Cinquanta di «un nuovo miracolo italiano» alle porte.
Nel suo stile discutibile, il giovane Renzi almeno questa cosa l'ha capita. Per chiudere la stagione del berlusconismo, nell'interesse di tutto il Paese, c'è soltanto una cosa da fare: smuovere, cambiare, riformare. Bisogna riavviare da qualche parte e in qualche modo il motore della storia d'Italia, bloccato da vent'anni intorno a una figura peraltro meschina, soltanto un po' meno mediocre degli avversari. E per farlo non c'è che l'imbarazzo della scelta. Cominciando con una delle dieci, cento, mille riforme che si dovevano fare già vent'anni fa. Una legge elettorale davvero maggioritaria? Bene.
L'abolizione del bicameralismo? Bene. Chi scrive è pronto a festeggiare in piazza la rivoluzione se soltanto si decidessero a chiudere finalmente la Società per il Ponte sullo Stretto, che non si farà mai. Come avevamo scritto per inciso proprio ieri, cioè nel 1993. Nella difesa assoluta, ostinata, invincibile dello status quo, Berlusconi ha sempre avuto un grande alleato nel gruppo dirigente della sinistra, il quale non voleva cambiare per le stesse ragioni di sopravvivenza. E vi era riuscito benissimo, fino al mese scorso. Ora che ha perso, pur di non cambiare sembra disposto a tutto.
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