RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Luca Telese per “la Verità”
BEPPE GRILLO DAVIDE CASALEGGIO
Allarme catodico in casa 5 Stelle. Beppe Grillo emana un nuovo decalogo sui rapporti tra il Movimento e la tv, accompagnando questo diktat con l' immagine inquietante di un vecchio monoscopio. Il segnale che (un tempo) segnava il silenzio radio, la fine di ogni programma. Dopo aver letto questo messaggio del Garante si possono immaginare solo tre ipotesi: o si tratta di uno scherzo; o si tratta di un tentativo di censura camuffata da battaglia libertaria oppure chi lo ha stilato non capisce nulla di televisione. Dato che nel caso di Grillo la terza non si dà, resta una sola possibilità: si tratta di una burla o di un bavaglio.
Perché il tema è questo: il garante Pentastellato pone come condizioni discriminanti delle richieste tecnicamente inattuabili per i talk show. Leggete ad esempio questo passaggio del diktat di Grillo: «Non è più ammissibile che l' ospite in trasmissioni televisive (rappresentante politico, esperto, opinionista, eccetera) venga continuamente interrotto quando da altri ospiti, quando dal conduttore, quando dalla pubblicità, che determina il livello del programma fomentando la litigiosità ed immolando il rispetto della persona sull' altare dell' audience».
beppe grillo con casco da astronauta al vertice m5s
Ovviamente Grillo sa benissimo che l' interruzione degli spot nella tv commerciale è inevitabile (altrimenti i canali privati, che non percepiscono canone morirebbero), così come sa che i primi a interrompere i soliloqui degli ospiti sono i rappresentanti del suo Movimento. Così come Grillo sa bene che ogni buon conduttore deve limitare la vocazione innata dei politici al pistolotto o al monologo.
La cosa che però fa pensare a una burla, leggendo questo decalogo, sono le righe successive, dove si scade quasi nel grottesco. Secondo Grillo, infatti, bisognerebbe attenersi a queste prescrizioni: «Chiediamo che i nostri portavoce siano inquadrati in modalità singola, senza stacchi sugli altri ospiti presenti o sulle calzature indossate, affinché l' attenzione possa giustamente focalizzarsi sui concetti da loro espressi».
A parte la gag sulle calzature, viene davvero da sorridere. Nel linguaggio della televisione, la regia rappresenta il pubblico di quelli che sono a casa. Consente, cioè, di capire cosa sta accadendo. Il «controcampo» è l' occhio di chi non può essere in studio perché è lontano. Ovviamente Grillo cerca una motivazione alta al suo veto: «Questo modo di fare televisione non serve a informare, ma a propinare le posizioni degli editori o dei conduttori di turno e queste non interessano ai cittadini».
È vero il contrario. Il suo proclama rappresenta un bavaglio in primo luogo per i suoi «portavoce» che (se chiedessero di applicare questo precetti) resterebbero fuori da tutti i talk in cui, invece, si sono conquistati il diritto di parola. Altra postilla: molti ascoltatori non sanno che la scelta dei campi e delle inquadrature è una prerogativa indiscussa che attiene alla libertà professionale del regista. Che più è bravo, più riesce «a far vedere» meglio (in un tempo rapido) ciò che accade in uno studio.
E così, molto spesso, sono i conduttori che entrano in conflitto con i loro demiurghi, tant' è vero che - più di una volta - è capitato che in onda degli anchorman di ogni segno e colore (da Paolo Del Debbio a Lilli Gruber) chiedessero al proprio regista di «silenziare» e di «chiudere i microfoni». Il controllo assoluto dello studio, infatti, corrisponde al silenzio.
Celebre è rimasto lo stop foriero di polemiche della conduttrice di Otto e mezzo a Matteo Salvini: «Sono costretta a togliere l' audio».
SELFIE A PORTA A PORTA GRILLO VESPA
Mentre l' ultima perla di Del Debbio - con uno stile decisamente più prosaico e più ruvido - è stato un botta e risposta con Vauro: «Adesso ti chiudo il microfono perché mi sono rotto i coglioni!». Dice ancora Grillo: «Non è più accettabile che le immagini dei servizi e degli ospiti in studio vengano svilite con inquadrature spezzettate e artatamente indirizzate».
Ma il punto è questo: Grillo ha in mente sé stesso, e il tempo del monologo di un solo, e di un elevato, in un codice che è quello teatrale, esattamente il contrario del pluralismo, della dialettica, e quindi della democrazia (non solo in tv). Scrive giustamente Enrico Mentana, lanciando una sfida: «Chiedo ai rappresentanti del M5s ospitati in questi anni nelle nostre trasmissioni di prendere posizione sulle disposizioni date da Beppe Grillo riguardo alle presenze tv degli esponenti del Movimento». Aggiunge il direttore del Tg di La7: «Qualora si dovessero confermare quelle linee, dal mio punto di vista irricevibili, saranno adottate dal M5s» , conclude Mentana, «ne dovremo trarre le conseguenze». Un guanto di sfida. Non si può far altro di augurarsi che sia presto raccolto.
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