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Ugo Magri per "la Stampa"
Dopo il suo discorso alla Camera, Berlusconi ha ricevuto nel bunker del Plebiscito questo mondo e quell'altro. Una interminabile processione di «peones» che avevano tanto bisogno di sentirsi rassicurati, quasi tutti in ansia per la «cadrega». E si sa che le parole volano (magari di qui alle elezioni Silvio si scorderà le promesse), però intanto un impegno d'onore del premier è sempre meglio di nulla, qualcuno dicono addirittura volesse farsi mettere la ricandidatura per iscritto...
Smentendosi, il Cavaliere non ha fatto tutto da sé. Perfino volendo sarebbe stato impossibile, perché i questuanti erano una folla, andavano soddisfatti uno per uno entro le 12 e 30 di oggi, quando gli onorevoli sfileranno sotto il banco della presidenza alla Camera per il voto di fiducia.
Come accadde un anno fa durante la campagna acquisti dei «responsabili», aiutante in capo del premier è stato Verdini, personaggio di fedeltà assoluta ma anche di calda umanità (chi lo conosce conferma): due doti che rendono Denis perfetto per lo «sporco lavoro» cui Berlusconi lo chiama. I due si sono sentiti e risentiti. Sulla carta l'esito della fiducia è scontato, i calcoli di Verdini piazzano la maggioranza tra i 318 e i 319 voti (così ha garantito per telefono al premier); sarebbero di più se un deputato non fosse malato e un altro, Papa, a Poggioreale. Si prevedono almeno dieci voti di scarto.
In realtà , Berlusconi non è affatto tranquillo. Lo scivolone sul Rendiconto gli ha fatto toccare con mano quanto è insidiosa la giungla parlamentare. A caldo se l'era presa con Tremonti arrivato in ritardo a premere il pulsante; poi però gli hanno suggerito che, se un oratore qualunque avesse parlato 5 minuti di più, Bossi avrebbe fatto in tempo a rientrare in aula, idem il titolare dell'Economia, dunque non si sarebbe posto il problema; cosicché adesso pare che il premier abbia puntato l'obice contro gli strateghi del gruppo, e in generale non si fidi più del loro pallottoliere.
Tra l'altro, lo informano che Casini ci sta provando. Pier Furby cerca di persuadere un po' di berlusconiani critici che basta mugugni, è ora di saltare il fosso. Il leader centrista ci proverà fino all'ultimo secondo, sebbene ai sensori di Palazzo Chigi sia giunto il segnale di una sola possibile defezione, quella del veneto Gava. Alle sirene centriste si aggiunge l'insofferenza di quanti, pur di licenziare Tremonti, sarebbero disposti ad amputare se stessi. Sfortunata coincidenza, la fiducia si voterà subito dopo il Consiglio dei ministri sui tagli ai ministeri, il cortocircuito è garantito.
A tal proposito va forte la teoria della «soglia psicologica». Secondo tale dottrina, se la messe dei voti pro-Silvio fosse inferiore a quota 315, dunque alla metà dei seggi alla Camera, la prognosi del governo sarebbe infausta: tempo una decina di giorni e andrebbe in crisi, magari per un nuovo incidente parlamentare. Come tutte le teorie, pure questa si porta appresso dei corollari.
Il più gettonato si chiama «effetto cascata». Recita così: il governo che va sotto alla Camera finisce per dissolvere pure la maggioranza fin qui granitica del Senato. Si spalancherebbe la strada per un governo di tregua che, al momento, lascia scettico il Capo dello Stato, ma a crisi aperta magari Napolitano cambierebbe idea... Il discorso parlamentare del premier, di fattura non certo memorabile, aveva l'obiettivo di negare tutto questo. E nei suoi colloqui di ieri Berlusconi non ha fatto che ripetere ai più dubbiosi: «Un governo di tregua durerebbe 3-4 mesi, poi si andrebbe alle urne. Dunque chi ve lo fa fare di pugnalarmi per poi andare a casa in un amen?».
A sentire il «cerchio magico» berlusconiano, quella delle elezioni nel 2012 è una pura leggenda metropolitana. «L'ho sentita anch'io», confida Cicchitto, «in realtà Berlusconi di votare in anticipo non pensa nemmeno, lui vuole davvero arrivare al 2013». Sempre che ci riesca, va da sé.
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