DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Lorenzo Salvia per www.corriere.it
Forse non era nelle intenzioni. Ma il decreto dignità rischia di far aumentare i costi a carico delle famiglie che hanno un aiuto in casa, una colf, una badante oppure una baby sitter. Fino a un massimo di 160 euro l’anno.
L’obiettivo dichiarato del primo vero provvedimento del nuovo governo, già in vigore e adesso in Parlamento per la conversione in legge, è contrastare la precarietà rendendo meno vantaggioso l’utilizzo dei contratti a termine.
Per questo vengono aumentati i costi a carico delle imprese, che ad ogni rinnovo dovranno pagare un contributo aggiuntivo dello 0,5%, che si somma a quello base dell’1,4%.
Il meccanismo riguarda il lavoro privato, e quindi le aziende. Mentre è stata esclusa la pubblica amministrazione, altrimenti i maggiori costi sarebbero ricaduti sullo Stato o sugli enti locali.
Il lavoro domestico, invece, non è stato escluso dall’applicazione delle nuove regole. Con il risultato che il contributo aggiuntivo va pagato anche per i rinnovi dei contratti a termine di colf, badanti e baby sitter.
Già adesso, perché il decreto è in vigore da sabato scorso anche se le modiche in Parlamento restano possibili.
Quanto può pesare quello 0,5% in più sul bilancio delle famiglie? Dipende dal tipo di contratto, dal numero di ore di lavoro: ma considerando il contratto standard di una badante assunta per 24 ore a settimana, si arriva a 160 euro in più l’anno.
Che si aggiungono, oltre che allo stipendio, ai circa 2 mila euro di contributi che già adesso si devono versare. A fare i conti è stata Assindatcolf, l’associazione dei datori di lavoro domestico, cioè le famiglie che hanno in casa colf, badanti e baby sitter.
La stima è contenuta in un documento depositato due giorni fa presso le commissioni Finanze e Lavoro della Camera che stanno esaminando il decreto. Senza suscitare reazioni, almeno per il momento.
Nel lavoro domestico è difficile parlare di abuso dei contratti a termine. Per licenziare un colf assunta in pianta stabile basta il preavviso di una settimana, visto che l’articolo 18 non c’è e non c’è mai stato. I contratti brevi sono utilizzati solo quando serve davvero, specie durante l’estate.
«Si tratta di un inutile accanimento», dice Andrea Zini, vicepresidente di Assindatcolf. Con il rischio di far crescere ancora di più il lavoro nero in un settore che già oggi è in larga parte sommerso: ci sono 860 mila lavoratori in regola, secondo gli ultimi dati ufficiali dell’Inps.
Me se ne stimano 1,3 milioni senza alcun tipo di contratto. Quasi il doppio. Accanimento oppure no, di sicuro siamo davanti a un paradosso che si trascina da tempo. Quando in passato ci sono stati incentivi per i contratti stabili, ad esempio con il Jobs act ma anche adesso per le assunzioni degli under 35, il lavoro domestico è sempre stato escluso.
E quindi le famiglie, a differenze delle imprese, non avuto sconti sui contributi da pagare. Adesso che si vuole rendere meno vantaggioso l’utilizzo dei contratti a termine, le famiglie vengono considerate imprese a tutti gli effetti.
E sono quindi chiamate a fare la loro parte pagando qualcosa in più. Una mossa in contraddizione con il contratto di governo firmato da Lega e Movimento 5 Stelle che, sia pure in termini generici, parla di «agevolazioni» per le baby sitter e provvedimenti per aiutare le famiglie con anziani a carico che hanno in casa colf e badanti.
Da tempo le associazioni delle famiglie chiedono un intervento più radicale. E cioè la totale deducibilità delle spese sostenute per pagare i collaboratori domestici in regola: togliere dal proprio reddito imponibile, sul quale vengono calcolate le tasse da pagare, non solo i contributi ma anche lo stipendio pagato alle colf e alle badanti.
Un intervento che però costerebbe allo Stato circa 700 milioni di euro. Una cifra non da poco e comunque difficile da trovare adesso, viste le grandi promesse fatte dal governo su flat tax, reddito di cittadinanza e pensioni.
Al momento si possono dedurre solo i contributi, fino a un massimo di 1.500 euro l’anno. Mentre si possono detrarre, cioè sottrarre alle tasse da pagare, i contributi per le badanti di persone non autosufficienti, fino a un massimo di 200 euro l’anno. In passato, e anche nell’ultima campagna elettorale, si era parlato della possibilità di alzare tutte e due le soglie. Il primo atto concreto del nuovo governo va, di fatto, nella direzione opposta.
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