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CHI E' PIU' A DESTRA? MELONI TEME SALVINI E SALVINI DEVE GUARDARSI DA VANNACCI – "LA STAMPA": "DI MELONI COLPISCE LA PERSISTENZA DI COPRIRSI A DESTRA: ANCHE SE HA QUASI TRE VOLTE I VOTI DELL'ALLEATO, VIVE QUEL MONDO SFILATO A PONTIDA COME UNA MINACCIA. LEI RADICALIZZA I TONI PER TOGLIERE SPAZIO A SALVINI CHE A SUA VOLTA LI RADICALIZZA PER NON LASCIARE PONTIDA A VANNACCI: IN DEFINITIVA IL GENERALE HA CONDIZIONATO TUTTI…"

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Alessandro De Angelis per “la Stampa”  - Estratti

 

Meloni Salvini

Innanzitutto, il derby di giornata. L'altro, rispetto a Lazio-Roma. E già la scelta (non casuale) di giocarlo è una scelta politica. 

 

Perché negli scorsi anni Giorgia Meloni non aveva mai dato così rilievo a Fenix, la festa dei giovani del suo partito. Finché la data non ha coinciso, appunto, con Pontida.

 

Due anni fa, col medesimo spirito, andò a Lampedusa assieme a Ursula Von der Leyen. Non fu proprio un successo come risonanza rispetto alla caciara salviniana sul pratone. Si sa, i comizi funzionano di più come titoli e pathos. 

 

Svolgimento e modulo di gioco. Speculare, sin dall'uso politico di Charlie Kirk. 

Lei, accolta dalla curva col coro «c'è solo un presidente», se la prende coi «sedicenti antifascisti», che hanno postato la famosa foto con la testa in giù, i moralizzatori che non condannano, imperituri alfieri di una doppia morale. 

MATTEO SALVINI E ROBERTO VANNACCI - PONTIDA 2025

 

Lui, accolto dal coro «c'è solo un capitano», chiede un minuto di applausi da far sentire «fino all'Arizona». La competizione a chi lo mette meglio nel Pantheon è il modo per rimarcare l'appartenenza a un campo, senza – letteralmente – pagare dazio e dazi.

 

Con Trump si pagano, sia sull'economia sia sulla politica estera. Il nuovo eroe del mondo Maga è invece buono per un racconto, a costo zero, della nuova crociata contro il male.

 

Racconto tanto tossico quanto deformato, nell'attribuire alla sinistra politica un giustificazionismo che non c'è: "noi e loro", "noi il coraggio e loro la violenza", con annesso «non ci fermeranno», «non ci faremo intimidire», e così via tutto il repertorio. 

Poi c'è Silvio Berlusconi. 

 

Anche il suo immaginario anticomunista torna buono. 

 

MATTEO salvini - GIORGIA meloni

Lei lo scimmiotta, promettendo che «l'amore vincerà sempre sull'odio», lui lo cita facendo comparire il faccione sul maxischermo dietro il palco. E addirittura convoca una manifestazione il giorno di San Valentino con tutti gli innamorati del suo campo.

 

Sarebbero poi quei leader sovranisti impegnati in tutto il globo terraqueo a fare della rabbia un progetto politico. 

 

Insomma, è una gara di vittimismo, pieno di risentimento e pieno di suggestioni, comprese Open Arms e la «persecuzione giudiziaria» per l'uno, e il solito spartito catacombale per l'altra: la comunità perseguitata, i tributi di sangue, la cultura clanica del gruppo eroico in un mondo ostile.

 

Della narrazione vittimistica fa parte, in entrambi, l'attacco alle tv asservite alla sinistra, che non si capisce quali siano visto che il duopolio Rai-Mediaset è diventato un unico polo di governo. A proposito di governo, lei lo cita come autoelogio della stabilità. Lui, a parte la riforma della giustizia, neanche una parola essendo a mani vuote in attesa del mitico Ponte sullo stretto. 

 

Ora le pagelle. Salvini fa Salvini, eternamente uguale a se stesso, ringalluzzito dal nuovo contesto mondiale, che ha ridato legittimità alle sue posizioni, ma non voti a conferma di una leadership irrimediabilmente consumata nel rapporto col Paese.

 

salvini vannacci pontida 2025

Di Giorgia Meloni colpisce la persistenza di questa ossessione di coprirsi a destra. Anche se ha quasi tre volte i voti dell'altro e non c'è partita, vive quel mondo sfilato a Pontida come una minaccia. Lei radicalizza i toni per togliere spazio a Salvini, Salvini li radicalizza per non lasciare Pontida a Vannacci, in definitiva il generale ha condizionato tutti, dalla destra più estrema.

 

Al fondo dell'ossessione di Giorgia Meloni c'è il riflesso politico-psicologico secondo cui l'evoluzione può apparire come tradimento, reso icastico dalle parole che non ha detto. Innominati: Zelensky, Putin, l'Ucraina, Netanyahu, Gaza, cioè tutto ciò su cui si gioca il destino del mondo (e dunque dell'Italia). 

 

Un'omissione, proprio alla vigilia della sua partecipazione all'Assemblea generale dell'Onu, che si spiega certo con la contingenza: la premier vive con più apprensione le Marche che il Donbass e Gaza.

 

(...)

salvini vannacci