DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Ilario Lombardo per “la Stampa” - Estratti
«Guerra globale ai trafficanti» e difesa dei confini nazionali. Questo il compito che si devono dare le Nazioni Unite secondo Giorgia Meloni. Una sovranista all'Onu: così la premier porta la sua idea di Nazione, con la N sempre maiuscola, davanti ai leader del mondo riuniti nel Palazzo di Vetro.
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Nel suo discorso si sente l'urgenza di una leader travolta dall'esodo dei migranti. Le parole scelte suonano come un appello: «Può davvero una organizzazione come questa, che afferma nel suo atto fondativo "la fede nella dignità e nel valore della persona umana", voltarsi dall'altra parte di fronte a questo scempio?». Meloni cerca di far vibrare l'attenzione dei suoi colleghi sostenendo come «sia dovere di questa organizzazione rifiutare ogni ipocrisia su questo tema e dichiarare una guerra globale e senza sconti ai trafficanti di esseri umani».
Bisogna guardare all'Africa, dice la premier, alla striscia del Sahel, dove una catena di colpi di Stato ha infiammato l'area, dove «già provate dai lunghi periodi di siccità e dalle conseguenze dei cambiamenti climatici si trovano oggi di fronte a una situazione difficilissima anche in termini di sicurezza alimentare, che le espone ancora di più all'instabilità, e le rende facili prede del terrorismo e del fondamentalismo».
Meloni non rinuncia alla retorica che lei altre volte ha definito «anti-migrazionista». Che separa i migranti in clandestini, profughi, migranti economici. Attacca i trafficanti che «illudono chi affidandosi a loro» pensa di trovare una vita migliore, e «si fanno pagare migliaia di dollari per viaggi verso l'Europa che vendono con le brochure come fossero normali agenzie di viaggio. Ma su quelle brochure non scrivono che quei viaggi troppo spesso conducono alla morte, a una tomba sul fondo del mar Mediterraneo».
Paragona i trafficanti «alla mafia» e insiste: «Davvero questa assemblea che in altri tempi ebbe il ruolo fondamentale di debellare quel crimine universale che era la schiavitù, può tollerare che torni oggi in altre forme, che si continui a mercificare la vita umana?».
La premier teme di restare da sola, senza Europa, senza gli alleati concentrati in altre aree calde del mondo, e senza l'Onu a cui offre la sua particolare visione sulle nazioni, che «esistono perché rispondono al bisogno naturale degli uomini di sentirsi parte di una comunità di destino, di appartenere ad un determinato popolo e di poter condividere con altre persone la stessa memoria storica, le stesse leggi, gli stessi usi e costumi. In una parola, la identità».
Un'identità che è un confine, appunto, da difendere, che pone una sfida, «che, senza prendersi in giro e senza ipocrisia, è la vera posta in gioco»: la scelta tra la Nazione e il caos, e tra la Ragione e la prevaricazione. Nazione e Ragione che secondo Meloni sono «i due elementi fondamentali» che hanno dato vita all'Onu e agli organismi che hanno la missione di risolvere «le controversie internazionali».
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Ieri la premier ha disertato il Consiglio di sicurezza, dove si sono affrontati, evitando di restare nella stessa stanza, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. Meloni ha preferito incontrare altri leader africani e la diplomazia italiana ha osservato con attenzione soprattutto un bilaterale: quello con il presidente del Ruanda Paul Kagame.
Un faccia a faccia che assume un particolare significato, visto che nel suo viaggio a Londra, lo scorso aprile la premier ha sostenuto di essere molto favorevole alla proposta del premier Rishi Sunak di trasferire i profughi proprio in Ruanda, trasformando il Paese in una specie di mega-campo per contrastare i migranti irregolari . Qualcosa di non molto dissimile all'idea di Meloni di costruire gli hotspot con l'aiuto della Unhcr, l'agenzia dell'Onu che si occupa di rifugiati.
giorgia meloni e ursula von der leyen bloccate dai manifestanti a lampedusa 17
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