
DAGOREPORT - L'ARDUO COMPITO DI SERGIO MATTARELLA: FARE DA ARBITRO ALLA POLITICA ITALIANA IN…
DAGOREPORT - L'ARDUO COMPITO DI MATTARELLA: FARE DA ARBITRO ALLA POLITICA ITALIANA IN ASSENZA DI UN’OPPOSIZIONE - IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NON VUOLE SOSTITUIRSI A QUEGLI SCAPPATI DI CASA DI SCHLEIN E CONTE, NÉ INTENDE SCONTRARSI CON GIORGIA MELONI. ANZI, IL SUO OBIETTIVO È TENERE IL GOVERNO ITALIANO DALLA PARTE GIUSTA DELLA STORIA: SALDO IN EUROPA E CONTRO LE AUTOCRAZIE – IL PIANO DI SERGIONE PER SPINGERE LA PREMIER VERSO UNA DESTRA POPOLARE E LIBERALE, AGGANCIATA UN'EUROPA GUIDATA DA FRANCIA, GERMANIA E POLONIA E LONTANA DAL TRUMPISMO - LE APERTURE DI ''IO SONO GIORGIA" SUL 25 APRILE E AFD. MA IL SUO PERCORSO VERSO IL CENTRO E' TURBATO DALLL'ESTREMISMO DI SALVINI E DALLO ZOCCOLO DURO DI FDI GUIDATO DA FAZZOLARI...
DAGOREPORT
sergio mattarella giorgia meloni
Per chi ha la responsabilità della tenuta e dell’unità democratica del Paese, sono giorni da far tremare polsi e neuroni. Sergio Mattarella, dall’alto delle stanze damascate del Quirinale, osserva la politica italiana e ne vede tutti i limiti.
Convinto della necessità di un bilanciamento dei poteri e delle responsabilità tra maggioranza e opposizione, il Presidente della Repubblica si rende conto che manca un pezzo del puzzle.
Al governo di Giorgia Meloni, in sella da quasi tre anni, con un consenso sostanzialmente stabile (cosa mai successa), non fa da contraltare praticamente nessuna opposizione degna di questo nome. L’accrocchio formato dal Pd di Elly Schlein e dal Movimento 5 Stelle a guida Conte-Travaglio non sta assolvendo al suo ruolo: quello di pungolare l’esecutivo e controllarne l’azione.
elly schlein giuseppe conte e il caso todde in sardegna - vignetta by usbergo
Mattarella rileva la litigiosità all’interno del fantomatico campo largo, spaccato tra sinistrati anti-americani e riformisti-atlantisti, i “pacifisti” contiani e i pro-riarmo alla Guerini, il super liberal Calenda e i dioscuri statalisti Fratoianni e Bonelli.
Senza contare la scheggia impazzita Renzi, inviso ai più per la sua avidità di mettere insieme il diavolo e l'acqua santa e che però, va registrato, è l’unico che si sta sbattendo per smascherare le magagne e le contraddizioni del governo Meloni (l’ultima prova si è avuta oggi, con lo scambio durissimo al Question time del Senato).
SERGIO MATTARELLA ALLO STABILIMENTO BSP PHARMACEUTICALS DI LATINA
Davanti a questo squilibrio politico, che rischia di diventare deficit democratico, Mattarella non vuole né ergersi a contropotere di Giorgia Meloni (con cui i rapporti sono diretti e corretti), né intende offrire ombrelli protettivi a una sedicente opposizione inconcludente e divisa, di cui non si fida per niente.
L'obiettivo che preme al presidente della Repubblica, ed è ciò a cui, sottotraccia e in modo felpato sta lavorando, è sfruttare la sua moral suasion per mantenere il governo Meloni agganciato all’Europa che conta (l’asse franco-tedesco) evitando gli sbandamenti verso l’estrema destra, immaginati da Matteo Salvini, che relegherebbero l’Italia a un ruolo aggregato all'autocrazia dei “patrioti” alla Le Pen e alla Orban.
giorgia meloni ignazio la russa sergio mattarella foto lapresse
Che Mattarella non abbia pregiudizi ideologici nei confronti della premier e del suo governo, è dimostrato dal comportamento sempre prudente e misurato con cui il Capo dello Stato si è avvicinato ai temi politici.
Non ha mancato di far sentire la sua voce (d’altronde Mattarella ha una precisa identità politica che non intende rinnegare), ma ha evitato di scivolare nel gioco delle parti.
L’ultimo gesto distensivo compiuto dal Presidente verso Giorgia Meloni risale al discorso in occasione del Primo Maggio, in cui ha modificato il testo preparato dal suo staff, tralasciando i passaggi più critici verso l’esecutivo.
sergio mattarella e frank walter steinmeier a marzabotto foto lapresse
Per Mattarella, più delle ideologie e della bagarre politica tra i partiti, oggi al centro della scena è dirimente lo scontro epocale tra le democrazie e le autocrazie. La sua premura è che l’Italia resti in un campo di gioco preciso, quello dell’Europa e delle democrazie liberali, evitando di entrare in collisione con Francia e, soprattutto, Germania.
Lo stretto rapporto che il presidente della Repubblica con l’omologo tedesco (e quasi sosia) Frank-Walter Steinmeier, ha rinsaldato i rapporti tra il deep state di Roma e quello di Berlino. Occorre, è il pensiero di Mattarella, anche una leale collaborazione tra i governi dei due Paesi.
GIORGIA MELONI CON DONALD TRUMP NELLO STUDIO OVALE
Del resto, la Germania è un modello di civiltà politica: superati gli steccati ideologici del Novecento, i democristiani della Cdu e i socialdemocratici della Spd governano insieme praticamente da più di vent’anni, a dimostrazione che si può mettere il bene del Paese davanti ai conflitti ideologici del proprio orticello.
Quel che vorrebbero al Quirinale è che anche in Italia, qualora le condizioni lo richiedessero, ci fosse una disponibilità senza pregiudizi a dialogare con i propri avversari per il bene del Paese. Perché la Große Koalition in Germania è regola e in Italia è demonizzata come inciucione?
I rapporti con Berlino sono cruciali anche in ottica europea: Mattarella vorrebbe vedere Giorgia Meloni portare la sua destra più verso il centro, cioè il Ppe, che verso l’estrema destra dei vari Abascal, Orban, Le Pen e Afd.
SANTIAGO ABASCAL CON GIORGIA MELONI
La maggiore autorevolezza che ne deriverebbe, anche agli occhi di Bruxelles, agevolerebbe l’ingresso dell’Italia nel “direttorio” europeo, insieme al triangolo di Weimar di Francia, Germania e Polonia.
Giorgia Meloni però è immersa in un equivoco: i suoi tradizionali alleati in Europa e nel mondo fanno parte di una “filiera” molto più vicina alle autocrazie, reali o immaginate, che alle democrazie compiute e liberali care a Mattarella.
È evidente che la preoccupazione del Quirinale non sia peregrina: da che parte sta e starà l’Italia qualora lo scontro tra Europa e Stati Uniti si intensificasse fino a una rottura definitiva?
E dove sarà il Governo di Roma quando toccherà difendere le istituzioni democratiche da facili pulsioni autoritarie o dalle suggestioni dell’uomo forte?
FRIEDRICH MERZ ACCOLTO ALL ELISEO DA EMMANUEL MACRON - FOTO LAPRESSE
Per un Trump che si sogna papa, che minaccia l’uso della forza per conquistare la Groenlandia, che si mostra scettico nel dovere di rispettare la Costituzione, e che ha dato una torsione autoritaria alla prima potenza mondiale, porsi queste domande non è solo un tic da vecchia sinistra democristiana antifa, ma un tema politica attuale e ineludibile.
D’altronde, la stessa Giorgia Meloni, dopo il colloquio con Donald Trump alla Casa Bianca, è tornata in patria piuttosto scossa. Certamente stralunata dai discorsi che si è sentita fare dal Caligola di Mar-a-Lago.
In cambio della vaga promessa di un vertice tra Usa e Ue, il tycoon ha fatto capire il vero costo della “special relationship”: il 3% del Pil in spese per la difesa, maggiori acquisti in gas e petrolio americano, lo stop alla web tax, lo sganciamento dalla Cina.
Non solo, sul piatto Trump ha messo pure gli F-35 e le connessioni satellitare di Starlink (mancava solo una fettina di culo panata).
Davanti a queste richieste svalvolate e pretenziose, la Ducetta si è resa conto che Trump non è un essere ragionevole e con tutte le rotelle a posto, né può considerarsi un leader affidabile, viste le continue oscillazioni e dietrofront sui dossier più disparati, dai dazi (oggi ha detto “Forse abbiamo sbagliato un pochino”) all’Ucraina (dopo aver sposato la propaganda putiniana promettendo ogni concessione a “Mad Vlad”. L'ultima sua uscita da T.S.O.: "Devo rispettare la Costituzione degli Stati Uniti? Non so se devo farlo...".
donald trump in versione papale - immagine generata dall ia
Preso amaramente atto dello stato mentale di Trump, Giorgia Meloni in una intervista all’Adnkronos ha fatto felice Mattarella, precisando: “Con il presidente americano siamo leali ma non subalterni”.
La Meloni ovviamente è ancora lontana da abiurare le sue posizioni di destra dura e pura, ma ultimamente ha messo in atto delle piccole distinzioni dall'estremismo parolaio di ieri.
Un passo avanti in direzione di una destra popolare e democratica si è registrato alle celebrazioni del 25 aprile: "Oggi l'Italia celebra l'ottantesimo Anniversario della Liberazione", ha dichiatato la premier, "In questa giornata, la nazione onora la sua ritrovata libertà e riafferma la centralità di quei valori democratici che il regime fascista aveva negato e che da settantasette anni sono incisi nella Costituzione repubblicana. La democrazia trova forza e vigore se si fonda sul rispetto dell'altro, sul confronto e sulla libertà e non sulla sopraffazione, l'odio e la delegittimazione dell'avversario politico”.
giovanbattista fazzolari giorgia meloni - foto lapresse
Un altro, importante, passo avanti è avvenuto con la mancata solidarietà con i tedeschi di Afd: il partito neo-nazista è stato dichiarato “estremista” dai servizi segreti, scatenando un’ondata di indignazione da parte delle destre di tutto il mondo (compresi Salvini e Jd Vance). Al coro in sostegno di Afd non si è unita la voce del partito di Giorgia Meloni. Un silenzio che ha fatto rumore. Un dettaglio certo, ma l’ennesimo piccolo segnale di una latente consapevolezza.
Ma per un deciso passo avanti in senso destra-liberale, nel proprio percorso politico, la Meloni ha due ostacoli: il primo è il timore di perdere voti a favore di Matteo Salvini e della Lega, che la Ducetta sogna di vedere ridimensionata al 5%.
MATTEO SALVINI FESTEGGIA IL SECONDO POSTO DI AFD ALLE ELEZIONI IN GERMANIA
L’altro è interno al suo partito: la Signorina deve gestire quotidianamente le pressioni dello zoccolo duro ex missino di Fratelli d’Italia, che non intende cambiare pelle: il suo braccio destro (e teso), Giovanbattista Fazzolari, ad esempio, è molto affascinato da Donald Trump ed è convinto che non fallirà la sua missione di “rinnovamento” negli Stati Uniti; apprezza il movimento “Maga” nonostante gli eccessi verbali e anti-europei; inoltre, è ferocemente anti francese, nonostante gli studi al liceo transalpino Chateaubriand.
A una svolta moderata di Giorgia Meloni aveva creduto anche Mario Draghi: nei primi mesi del governo Ducioni, quando l’ex presidente della Bce ha dato una mano alla premier per l'approvazione della Finanziaria. È stato prodigo di consigli, di buone parole sussurrate all’establishment europeo con l’obiettivo di accreditare il nuovo governo, il tutto nella genuina speranza che la gestione del potere spingesse Fratelli d’Italia e la sua leader a un posizionamento di destra moderata e responsabile.
Dopo qualche mese di governo, “Mariopio” ha dovuto prendere atto che le incrostazioni ideologiche del passato erano troppo forti e troppo radicate per trasformare, dopo 30 anni di opposizione alla Fiamma, gli ex missini in una destra popolare e liberale.
Volente o nolente, Giorgia Meloni sarà chiamata a uscire dall’ambiguità e dal suo tradizionale camaleontismo, per abbracciare più convintamente la causa europea entrando, come auspica Mattarella, nel nel gruppo guidato da Germania, Francia e Polonia.
Il 30 giugno, quando scadrà la sospensione dei dazi “reciproci” di Trump verso i Paesi di tutto il mondo, il muro contro muro tra Washington e Bruxelles dovrà risolversi in un senso o in un altro. A quel punto, in barba a tutti i Fazzolari col fez, Meloni sa benissimo che dovrà abbandonare definitivamente al suo destino il Mentecatto della Casa Bianca...
GIORGIA MELONI E MATTEO SALVINI
giovanbattista fazzolari a saturnia intervistato da Bruno Vespa
MARIO DRAGHI E GIORGIA MELONI A PALAZZO CHIGI
mattarella macron meloni g7 cena castello svevo di brindisi
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