1- DIO PERDONA, ROMA NO! BENVENUTI AL CINE-FESTIVAL DOVE TUTTI SI FANNO LA “FESTA” 2- GUERRA NON-STOP TRA PDL (POLVERINI & ALE-DANNO) E PD (BETTINI & ZINGARETTI) SULLA NOMINA DI MARCO MÜLLER AL VERTICE DI UNA KERMESSE DA 15 MILIONI DI EURO 3- CON I SOLDI DI SDE-RENATA MÜLLER MEDITA DI SPOSTARE LA RASSEGNA IN AVANTI (ALMENO TRE MESI PERCHÉ LA PUGNA FRATRICIDA CON VENEZIA È UN NON SENSO), CON AL FIANCO IL PRESIDENTE DI BNL E MAIN SPONSOR DEL FESTIVAL (ALTRI SOLDI), LUIGI ABETE 4- MENTRE IL CONFLITTO D’INTERESSI RECITA DA PROTAGONISTA (PAOLO MEREGHETTI, COLLABORATORE DI “CIAK”, IN NOBILE, ECCESSIVA TIRATA PRO DETASSIS), MULLER ASCOLTA INFASTIDITO CHI RICORDA CHE NEGLI ULTIMI DUE VALZER IN LAGUNA CI FU SPAZIO PER DRAGOMIRA BONEV E PER EZIO GREGGIO, CARI AL CUORE DEI BERLUSCONES

Vai all'articolo precedente Vai all'articolo precedente
guarda la fotogallery

Malcom Pagani per Il Fatto

Era contento, Walter Veltroni, quando il Festival si chiamava ancora festa e nell'involontaria parodia della dolce vita che fu, sul tappeto rosso di Roma, Nicole Kidman sorrideva ai fotografi ammiccando subliminalmente agli elettori. Dal taglio del nastro inaugurale sono passati cinque anni, la politica continua a sdraiarsi sull'arte e l'unico elemento stanziale in un panorama cangiante è il venditore di porchetta.

Affetta tra le palazzine a due piani del vecchio villaggio Olimpico, i decibel da discoteca che a proiezione in corso si sovrappongono ai film iraniani e le curve dell'auditorium di Renzo Piano. Deinternazionalizza in un meritorio slancio neorealista un appuntamento pretenziosamente poliglotta. Nato male e cresciuto peggio. Roma è al bivio, ma l'unica lingua parlata in questi giorni è quella dell'insulto e del reciproco sospetto. Tutti contro tutti. Come ieri e più di domani.

Urla scomposte e che coprono la vera ragione della lotta. Un affare da 15 milioni di euro. Dieci giorni di gloria, flash e copertine utili ad arrogarsi meriti, navigare verso altri lidi, lanciare autocandidature, fortificare alleanze e riempirsi la bocca tra prosaici buffet e vaniloqui culturali.

Le figurine in vetrina, mentre nel retropalco si trama che è un piacere, si chiamano Piera Detassis e Marco Muller. La direttrice sfiduciata a mezzo stampa che oggi si interroga "sulle vere relazioni che devono intercorrere tra politica e cultura" e il sinologo in uscita da Venezia stipato sul vaporetto come uno scarto da Biennale, un taglio di pellicola, un imperatore decaduto pronto a essere nuovamente incoronato 500 chilometri più a sud.

Dietro di loro, la guerra. Con le divise sporche di compromesso, l'innocenza perduta e l'indignazione malspesa. Distante dalla rabbia di Pier Paolo Pasolini che sull'attuale Presidente del Festival Gian Luigi Rondi, 92 anni, si era già espresso: "Sei così ipocrita che quando l'ipocrisia ti avrà ucciso, sarai all'inferno e ti crederai in paradiso". A Rondi era stato chiesto un sacrificio da Alemanno. Farsi da parte. Mettersi in un angolo non fa parte però del suo vocabolario.

Così rondi è rimasto al suo posto e in attesa del 13 gennaio, quando il redde rationem tra Regione, Provincia, Camera di Commercio e Fondazione per il cinema, dovrebbe snebbiare il quadro, il panorama è quello confuso e desolante di sempre. Vicino al solito puzzle di interessi concentrici che a Roma, per citare Roberto D'Agostino, annacqua le identità politiche e il vieto schema destra-sinistra per innalzare lodi all'unico dio del centro-tavola.

È andata così anche stavolta. Tavoli separati, piccole congiure, colpi di mano, rivoluzioni a tavolino. Balcanizzando il passato e le appartenenze. Per fascinazione intellettuale o calcolo errato (già ai tempi di Urbani, l'ex direttore del Festival veneziano dimostrò allergia ai patti eterni) a Renata Polverini, presidente di Regione col sogno della rielezione e della lista a suo nome, quello dell'ex maoista Muller è piaciuto da subito.

Dopo aver nominato Velardi nel Consiglio del Maxxi e aver stretto accordi con il nemico Alemanno senza avvertire né consultare il Cda del Festival, Renata la rossa ha immaginato per le passerelle del 2012 un ticket con Muller stesso e il Presidente Warner Paolo Ferrari al posto di Rondi.

Nella creazione, accecata dall'idea, ha stimolato la stampa amica a perorare l'ipotesi Muller (paginate intere) finendo per somigliare al sindaco megalomane di Stromboli dipinto da Moretti in ‘'Caro Diario'': "Vorrei che Vittorio Storaro si occupasse dell'illuminazione dell'isola. Bisogna ricostruire da zero l'Italia. Nuovi abiti, un nuovo modo di parlare, nuovi sapori, tutto nuovo".

La donna è così. Interviste improvvide, minacce di tagli ai finanziamenti regionali poi corrette con mano maldestra, casino, anatemi. Da sinistra (con Gianni Letta insolito alleato del Pd romano e in vigilanza sul greto dell'amico Rondi e di Detassis) per par condicio, i toni sono stati da manganello. Battute da Bagaglino del consigliere provinciale Battaglia: "Dare a Muller la direzione artistica di Roma somiglierebbe a mettere Dracula a capo dell'Avis", gentilezze assortite: "È solo un trombato" (sempre Battaglia), tirate municipalistiche con il soffio del provincialismo: "Muller è un nemico di Roma" (Zingaretti) e dolenti lettere aperte dell'uomo che anela al ritorno, l'ex potentissimo presidente dell'AuditoriumGoffredo Bettini.

Alternando sobri giudizi sulla sua creatura veleggianti tra lo "straordinario" e il "meraviglioso", Goffredo Bettini attacca l'odiato Muller, le "vigliaccate" e le cifre di bilancio (buco da 1.300.000 euro) messe in giro ad arte, la visione padronale della destra, ma omette, da buon cinefilo, di raccontare il finale del film. La consulenza elargita dalla precedente direzione di Roma a sua sorella Fabia (diecimila euro), il ruolo di curatore della sezione Alice assegnato al marito di lei, Gianluca Giannelli e la sensazione di inespresso che nonostante alcune punte di eccellenza (Mario Sesti e l'oasi "extra" su tutte), ha finito per veder premiati a Roma film che erano stati esclusi da Venezia o che non avevano staccato il biglietto per Toronto.

Da fuori, mentre Muller medita di spostare la rassegna in avanti (almeno tre mesi perché la pugna fratricida con Venezia è solo un non senso che nuota nell'affollato mare dell'assurdo), osserva la pingue sagoma del Presidente di Bnl e main sponsor del Festival, Luigi Abete.

Sodale di Alemanno, tramite Cinecittà Enterteinment, Abete ha rilevato l'ex luna park dell'Eur. Investimento incerto che vedrebbe un ritorno se Muller applicasse a Roma l'ipotesi Sundance (proiezioni a macchia, studios, workshop, sapienza e marketing sparsi sul territorio).

Mentre il conflitto d'interessi recita da protagonista (Paolo Mereghetti, collaboratore di "Ciak", in nobile, eccessiva tirata pro Detassis), Muller tace dopo aver tanto parlato e ascolta infastidito chi ricorda che negli ultimi due valzer in laguna ci fu spazio per Dragomira Bonev e per Ezio Greggio, altrove si sussurra che costruirgli un'ipotetica squadra intorno dopo i rifiuti dei reduci veneziani Cucciniello e Gosetti sia meno semplice che entrare ai musei Vaticani di domenica.

Lo sconfitto di domani sembra essere il perdente di ieri. Non un nome. Ma un festival che non riesce a volare, trascinato nel fango dalla guerriglia, lardellato dai debiti, accerchiato da ridicolo. Un film nel film. Effetto notte, l'odore di truffa nell'aria e nessun Truffaut all'orizzonte.

 

PIERA DETASSIS MARCO MULLER GIAN LUIGI RONDI RENATA POLVERINI Il sindaco Alemannoshar07 paolo ferrariNICOLA ZINGARETTI Fabia Bettini, Stefano Dominella, Goffredo Bettini, Francesca ViaFABIA BETTINI E LUCA GIANNELI