JFK FILES - NEI DOCUMENTI RI-SECRETATI NON CI SONO LE PROVE DEL “COMPLOTTO” MA COSUCCE COME L’AIUTO DELLA MAFIA A KENNEDY

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Paolo Mastrolilli per "La Stampa"

"A questo punto mi sono convinto che non ci fu un complotto, per uccidere John Kennedy. Lo Stato conserva il segreto sui documenti del suo omicidio, perché probabilmente contengono rivelazioni personali imbarazzanti per lui, la sua famiglia, o il governo stesso».

Se anche Seymour Hersh non crede più alla «conspiracy theory», per l'attentato di Dallas, diventa difficile immaginare che un giorno verrà fuori una verità diversa da quella ufficiale e conosciuta. Hersh è il decano del giornalismo investigativo americano: prima di Bob Woodarwd, Carl Bernstein e il caso Watergate, c'era lui con lo scoop del massacro di My Lai in Vietnam.

E c'è ancora oggi, visto ad esempio il colpo che fece rivelando gli abusi contro i prigionieri del carcere di Abu Ghraib. Nella sua carriera ovviamente Hersh si è occupato del caso Kennedy, in particolare con il controverso best seller «The Dark Side of Camelot», che rivelava particolari imbarazzanti come il rapporto fra l'ex presidente e il boss mafioso Sam Giancana, l'uso regolare di narcotici, e anche un matrimonio segreto avvenuto prima di quello con Jacqueline.

A cinquant'anni dall'omicidio di Dallas, i National Archives americani di College Park hanno deciso di mantenere il segreto su migliaia di files relativi all'inchiesta. In particolare, restano nascosti quelli sulle misteriose attività dell'agente Cia George Joannides, prima e dopo l'attentato.

Perché, secondo lei?
«Una cosa al momento è sicura: non ci sono le prove del complotto. Per quanto ne sappiamo, penso che Lee Harvey Oswald agì da solo. Può essere una verità brutta e deludente, ma finora è tutto quello che abbiamo. Naturalmente la parola chiave in questa dichiarazione è il verbo "penso", perché la verità assoluta, i fatti dettagliati, non li conosce nessuno. Però non credo che in quei files negati ci sia la conferma del complotto».

Come fa a essere così sicuro?
«Nessuno è sicuro, come ho detto, e la parola chiave resta "pensare", non "sapere". Chiarito questo, però, nei fatti che conosciamo non ci sono le prove della cospirazione».

Non potrebbero essere nascoste nei file segreti?
«Non credo. I complotti in genere hanno un certo arco di vita nel nostro paese. Se dopo cinquant'anni nessuno ha ancora trovato la conferma della macchinazione, vuol dire che probabilmente non c'era. Infatti le prove fattuali note non la dimostrano».

E allora perché le autorità Usa si ostinano a non pubblicare questi documenti?
«Contengono informazioni personali imbarazzanti per Kennedy, o per il governo stesso».

A cosa si riferisce?
«Ad esempio il suo rapporto con la mafia, sospettata di averlo aiutato nelle elezioni. Oppure quello con Castro, che aveva cercato di eliminare. Non c'è dubbio che l'amministrazione stesse facendo diverse cose imbarazzanti, e questo è un buon motivo per continuare a tenerle segrete anche mezzo secolo dopo. La gente non vuole credere, e quindi non vuole sapere, che Kennedy fosse coinvolto in comportamenti non proprio limpidi».

Si riferisce anche alle sue relazioni sessuali?
«Quelle ormai sono abbastanza note. Non penso che rappresentino una sorpresa particolare per il pubblico americano».

Allora questioni relative alla sua salute?
«É probabile. Su questo punto sappiamo molto meno di quanto pensiamo di conoscere».

Ma perché nascondere i files dell'agente Joannides: cosa stava facendo?
«Credo che il problema non sia tanto lui, quanto il comportamento dell'intera agenzia. La Cia nascose tutto quello che sapeva, rifiutandosi anche di testimoniare davanti alla Commissione investigativa. Probabilmente andarono in privato dal giudice Warren, a dirgli che non potevano parlare per proteggere la sicurezza nazionale. Allora eravamo molto ingenui, e una frase del genere bastava a bloccare tutti».

Anche tra i documenti della Cia, però, lei non si aspetta prove?
«Informazioni imbarazzanti sull'operato del governo sì, certamente: conferme del complotto no».

Chi è che impedisce la trasparenza?
«Lo Stato, ma soprattutto la famiglia. I Kennedy sono un'istituzione, che si protegge con grande forza. Sappiamo pochissimo anche di Bobby, e continueremo a non sapere».

 

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