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DAGOREPORT - GIORGIA MELONI SOGNA IL FILOTTO ELETTORALE PORTANDO IL PAESE A ELEZIONI ANTICIPATE?…
1- D'ALEMA PERFIDO RECENSORE DI ZIO WALTER
Jacopo Iacoboni per "la Stampa"
Ma siamo sicuri fosse un pezzo affettuoso? Davanti alla recensione che D'Alema sull'Unità ha dedicato al nuovo libro di Veltroni, uno potrebbe impulsivamente pensare: riecco i compagni di scuola. Contrapposti ma mai divisi fino in fondo nei momenti cruciali; amici-nemici da trent'anni, ma è pur vero che la figlia di Massimo chiamava l'ex sindaco di Roma «zio Walter», e si meravigliava se non facevano le vacanze insieme. E però.
Questa volta ci sono almeno due aspetti curiosi, nell'ennesimo capitolo della saga. Il primo è che D'Alema fa ruotare tutte le sue considerazioni su L'isola e le rose attorno al tema generazionale, presentando se stesso, e solo in seconda istanza Walter, come due ragazzi pieni di speranze e forse illusioni, due giovani, come i tanti che oggi li contestano, se non proprio due utopisti.
Scrive l'ex premier che il romanzo «ci riporta in un tempo cruciale della nostra vita personale e della nostra storia collettiva»; che «si ha come la sensazione che quell'incredibile storia vera (il '68) abbia sfiorato la nostra esistenza, che fu segnata dagli stessi eventi, dalle stesse speranze e dagli stessi miti che fanno da sfondo alla storia»; infine, si concede anche una robusta autocritica comune, quando ricorda il grido dei ragazzi di oggi contro i padri e ammette: «E' un grido contro una generazione - la nostra - che spesso appare prigioniera del proprio narcisismo e incapace di riaprire una prospettiva per i più giovani».
Un'autocritica interessante, da quel pulpito, ma è suonata insincera a tantissimi lettori dell'Unità (leggete la bacheca facebook del quotidiano: una marea di commenti ai limiti dell'insulto indirizzati ai due leader).
Ma il punto vero è che elogiandolo, e in certi passaggi dando persino l'impressione di incensarlo, D'Alema in realtà punzecchia non il romanzo, ma il veltronismo in quanto tale; e parlando di sé almeno quanto del libro di Veltroni. Ci vien ricordato che il recensore tra la fine del '67 e l'ottobre del '68 era a Praga, «in piazza, con il groppo alla gola, contro i carri armati sovietici». Apprendiamo che più tardi passò a Francoforte, «nell'università assediata dalle forze dell'ordine», dove si svolse il congresso che sancì lo scioglimento della lega degli studenti tedeschi di sinistra, dopo il ferimento di Rudi Dutschke. E il recensito dov'è finito?
Naturalmente gli elogi a Walter sono numerosi; ma, come dire, paiono almeno articolati. D'Alema scrive cose come «il '68, che Walter Veltroni ci racconta con molto garbo e affettuosa partecipazione». Osserva che «nel racconto di Veltroni» la modernità che arriva d'Oltreoceano si incontra con la creatività del nostro cinema, Fellini in particolare, e con i miti della politica, «un po' confusi, da Kennedy a Che Guevara, ma tutti nel segno del cambiamento» (e nomina beffardo le figurine Panini).
Riflette che «è straordinario come Walter sappia raccontare la vita di una generazione alla quale egli si è iscritto certamente giovanissimo, avendo avuto nel '68 non più di tredici anni» (insomma, Veltroni nel '68 non c'era). Si ha come la sensazione che anche quell'autocritica generazionale insinui nel lettore un'idea: guardate, io e il recensito avevamo gli stessi sogni, e abbiamo fatto i medesimi errori. Ciò che è rimproverabile a me, lo è anche a lui. Anche le nostre speranze di utopisti.
2- VELTRONI, IL «PIPPOBAUDO» PD CHE VUOLE GUIDARE LA CAMERA
L'EX SEGRETARIO DEI DEMOCRATICI PUNTA ALLA RIBALTA DI MONTECITORIO SE VINCESSE IL CENTROSINISTRA. VOLTEGGIA TRA KERMESSE E A TEMPO PERSO SCRIVE ANCHE LIBRI
Giancarlo Perna per "il Giornale"
Chi lo ha visto dice che Walter Veltroni è un po' ingrassato, disteso, abbronzato, più buonista del solito. Soprattutto, tenacemente evasivo sulle cose politiche con l'obiettivo di tenersi cari tutti e diventare senza intoppi presidente della Camera nel 2013, dopo la sperata vittoria elettorale del Pd. Da mesi, il cinquantasettenne Veltroni volteggia come Pippo Baudo da un palcoscenico a una tavola rotonda, quasi dovesse sbarcare il lunario con i gettoni di presenza.
In realtà vive così solo per sottolineare il disimpegno, non per problemi economici, avendo pur sempre ventimila euro il mese come deputato e un vitalizio garantito di 9.014 euro mensili per la vecchiaia. Quest'estate è stato ospite fisso negli «Incontri della Versiliana» a Marina di Pietrasanta, mescolato alla buona borghesia del Forte e del Cinquale. Ha esclusivamente parlato di cinema - materia alla quale deve il suo unico titolo di studio (cineoperatore) - intervistando Stefania Sandrelli, Carlo Verdone e altri, cui sono seguiti dibattiti da lui moderati fino a tarda notte.
Nelle pause, ha dato il tocco finale alle bozze dell'ultimo libro, L'isola delle Rose , che in queste ore, appena giunto nelle librerie, Walter sta presentando alla Fiera del libro di Spoleto, precisamente nella Rocca Albornoziana, per chi sia interessato. Del romanzo- il nono in nove anni, edito come sempre da Rizzoli, in carattere tipografico Veltroni (cubitale per ricavarne, nonostante l'esilità del manoscritto, un volumetto di dimensioni decenti) Âaveva dato anticipazioni già in maggio alla Festa del Libro di Napoli, manifestazione con cui iniziò il suo attuale periodo pippobaudesco di girovago culturale, allergico a tutto ciò che sa di politica.
Prendiamo, dunque, atto che per garantirsi una signora poltrona nel prossimo quinquennio, anziché conquistarla, Walter ha scelto di ottenerla mettendosi buono in un angolo. Non potendo fare valere dei meriti, cerca di averla come l'offa che si getta a chi non dà fastidio e non conta più un tubo. Le stesse ragioni per cui Rocco Buttiglione è presidente dell'Udc.
Ma perché deve ridursi così uno come Veltroni che pure aveva avuto un'intuizione cardine? Se, benedett'uomo, fosse andato in Africa come aveva promesso, non avrebbe ora il problema di cosa fare di sé. Ricordate quell'8 gennaio 2006, in cui l'allora sindaco di Roma civettava in tv con Fabio Fazio, suo sollucheroso gemello? «Non bisogna fare la politica a vita - disse virtuoso - ma continuare a fare le cose nelle quali si crede facendo altro. Finito il mandato di sindaco nel 2011, chiudo con la politica attiva. Andrò in Africa per continuare una missione civica. So che tutti diranno: "Furbacchione, dice così ma non è vero". Ne parleremo tra cinque anni e vedremo se sarà vero o no».
Naturalmente, non è stato vero. Era una trovata del momento. Da allora, quando gli chiedono perché abbia mancato di parola, fa il sorrisetto tipico dei romani pigliaÂfondelli che in prima battuta significa «so io il perché» e che, se insisti, si trasforma in «fatti l'affaracci tua».
Una volta sola, alla vigilia dellaÂnascita del Pd di cui fu primo segretario (2007), ha dato una specie risposta. «Ho detto - ammise Âche non avrei cercato altri posti di potere. Ma quando vedi che tutti si voltano verso di te per chiederti di impegnarti in prima persona, non puoi fare finta di nulla». Quel «tutti si voltano verso di te», che parve tratto da un'ode a Maria Vergine di Oscar Luigi Scalfaro, strappò al simpatico compagno Emanuele Macaluso un sardonico: «Walter santo subito!».
Si sa come andò a finire la sua segreteria del Pd. Un anno e mezzo dopo, fu costretto a dimettersi per la batosta elettorale che il partito subì in Sardegna. à una costante: quando Veltroni guida il partito,c'è da spararsi. Anni prima, a cavallo del Millennio, era già stato segretario dei Democratici di sinistra e anche allora - 2001 - li portò alla disfatta. Sbatté il grugno contro il Cav, scaraventandoli al loro minimo storico: 16 ,6 per cento (quattro anni prima erano al 21).
Un'altra costante sta nel suo mentire o essere poco chiaro come con l'Africa. Per decenni, caduto il muro di Berlino, disse di sé che non era mai stato comunista, che si sentiva un kennedyano e basta. Ne inventò a iosa: «Consideravo Breznev un avversario e la sua dittatura da abbattere»; «Si poteva stare nel Pci senza essere comunisti. Era possibile. à stato così», e via discorrendo. Non si riusciva a fermarlo. Tanto che una volta oltrepassò la decenza.
«Non sono neanche stato all'estero nei Paesi socialisti», disse. Qui, cascò l'asino. Il diciottenne Walter, capelli alla Beatles, era stato invece al Festival della Gioventù comunista nella Berlino Est di Honecker (un duro che sparava a chi cercava rifugio all'Ovest). Non era lì per caso, ma da membro della delegazione ufficiale della Fgci - giovani del Pci-con,tra gli altri,il coetaneo Fabrizio Barca, oggi ministro «tecnico» (!) della Coesione territoriale nel gabinetto Monti. La bugiola di Walterino, come poi si scoprì, era tanto più meschina in quanto, proprio in quel viaggio, scoccò l'amore con Flavia Prisco, futura e tuttora consorte.
Messi in allarme dalla menzognetta, i cronisti scavarono più a fondo sul Walter militante. Si scoprì che era stato un comunista fatto e finito. Concionava sull'«asservimento della Dc e dell'Italia al soldo degli americani», altro che - come poi si proclamerà - innamorato perso di Robert Kennedy. Ma soprattutto era una specie di kapò. Da segretario della Fgci romana espulse un gruppo di ribelli, tra cui Augusto Minzolini, il futuro direttore berlusconiano del Tg1.
Uno dei cacciati - Piero Galletti - fa, con efficace acidità , una descrizione di Walter in quegli anni: «Veltroni arrivava con la sua borsa di pelle piena di carte, vuota di idee. Vestito da funzionario di partito, capelli pettinati, pantaloni con la riga». Insomma, in carriera e lo sguardo fisso sull'obiettivo. Dopo averli convocati e cacciati, terminò la riunione dicendo: «Vi ricordo che se siamo il più grande partito comunista d'Occidente non è grazie alle vostre balle ma alla nostra capacità di fare politica». Dunque, come si vede, mai stato comunista.
In realtà , tout se tient , come dicono i francesi. C'è coerenza tra le varie facce di Walter, bugie, evasività , buonismo, disimpegni strategici. Veltroni detesta il rischio e smussa per evitare qualsiasi spina. Da sindaco volle andare d'accordo col diavolo e l'acquasanta. Per non scontentare i variegati amici, si condannò all'indecisione con danno della città , ma rimase magnificamente in sella, come il suo successore Alemanno può solo sognarselo.
All'origine, c'è l'innata prudenza del Nostro, confinante con la pavidità . Un episodio della sua infanzia dice tutto. Undicenne, rifiutò il bacio di una bimbetta intraprendente. «Mi sembrava disdicevole dal punto di vista igienico», spiegò da adulto, ancora convinto di avere fatto la scelta giusta. Dopo questo assaggio della personalità dell'autore, correte a comperare il suo ultimo libro.
3- FULVIO ABBATE: VIDEO-LETTERA APERTA ALLA COORTE DEI RECENSORI VELTRONICI
Carissimo Dago,
evidentemente la realtà supera la fantascienza, proprio ieri dalla mia telelevisione monolocale, teledurruti.it, ho sentito il bisogno di inviare una "lettera aperta" ai molti recensori dell'ultimo romanzo (così come dei precedenti, mi auguro per lui) di Walter Veltroni, "L'isola e le rose", sperando in una loro esaustiva risposta in tempi brevi, una replica che contenesse le vere ragioni del "perchè lo fai?", nel frattempo alla coorte si è aggiunto Massimo D'Alema che, se ho intuito bene, avrebbe trattato del libro in qestione sulle pagine de "l'Unità ".
Ti chiedo soltanto di rendere pubblico sul tuo prestigioso portale questo mio bisogno di comprensione che fino a questo momento ha incontrato soltanto il silenzio ostinato degli scribi, dei pubblicani e perfino dei marchettari della nostra informazione. Dal tormentone estivo del Pulcino Pio allo sfonzo di convincimento di D'Alema per l'opera del collega c'è un anello mancante. Ecco il link del mio filmato.
Abbracci da Roma
Fulvio Abbate
P.S.
Accudo logo mia imperdibile emittente monolocale
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