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DAGOANALISI
L’aureola di santino dell’Expo attribuita a Giuseppe Sala dai media vili (e a libro paga degli organizzatori) e non dai milanesi già comincia a scolorirsi nella Milano da nutrire il pianeta (e/o “da pappare”) che dovrebbe far dimenticare quella “da bere” craxiana degli anni Ottanta.
A poche ore dalla chiusura dell’evento in cui il Bel paese non ha incassato un successo annunciato e soprattutto strombazzato dai giornaloni – è stato evitato ahimè soltanto un fallimento -, il candidato sindaco del cazzaro premier Renzi scopre che la strada verso palazzo Marino è assai scivolosa e insidiosa da qui alle elezioni di primavera.
Oibò, forse il beato dei Padiglioni immaginava che in politica ci sono clientes come nel mondo degli affari. E che i suoi “miracoli”, accertati al momento solo a mezzo stampa, potessero offrirgli a gratis le chiavi della città cara al Cattaneo e al Manzoni.
Così il commissario unico dell’esposizione universale di Rho, avvertiti i malumori che serpeggiano nel Pd (o quel che resta del partito) ha preso cappello e, in pratica, si è tirato fuori dalla competizione. E tutti lì, il giorno dopo, a domandarsi invece sul perché anche il Mago Pippo dei numeri dell’Expo (taroccati?) abbia avuto una reazione tanto stizzita nell’annunciare il suo passo indietro, inequivocabile.
ACCORDO EXPO GIUSEPPE SALA ENRICO LETTA ROBERTO MARONI GIULIANO PISAPIA
E le ragioni del dietrofront non sono poi così oscure: le primarie per indicare dal basso il successore di Giuliano Pisapia e la richiesta di una sorta di salvacondotto istituzionale nell’ipotesi che qualche magagna contabile (appalti) emerga dalla contabilità dell’Expo con buona pace di Cantone ‘o censore.
Giuseppe Sala ad expo BONO RENZI SALA
Sull’evento, secondo quanto ha scritto Frank Cimini nel suo sito Giustiziami.it, la Procura di Milano “avrebbe applicato una moratoria, con tanti saluti all’esercizio obbligatorio dell’azione penale”. Un sospetto, finora mai confutato, ripreso nell’intervista concessa dal giornalista free lance a Stefano Lorenzetto di “Panorama”. E “il Fatto” già rileva che l’audit interno contesterebbe al supermanager la regolarità dell’appalto (271 milioni di Euro) sulla “piastra”. Cioè l’infrastruttura di base dell’area espositiva.
Dunque, appare ben comprensibile che il Pippo dei Padiglioni non dorma sonni tranquilli. E nelle vesti di futuro sindaco di Milano rischia più di qualche colpo basso per il lavoro svolto all’Expo.
“Non sono io che ha chiesto di fare il sindaco e non sono io alla caccia di poltrone”, dichiara allora fuori dai denti. Ma non era stato proprio lui, Mr. Expo, a farsi avanti per gestire a livello nazionale il turismo Made in Italy con la benedizione del solito “giglio tragico”?
Ma nel dare sfogo alla sua rabbia (repressa) l’indiscusso capataz dell’evento, grazie anche ai benevoli crediti accordatigli dal suo “partito di riferimento” (Pd), il prode Sala s’è messo a scimmiottare pure il piccolo ducetto di Rignano sull’Arno, il suo sponsor principale. E se n’è uscito anche lui con il fascistissimo motto: me ne frego!
“Se sono di destra, di sinistra, di centro o di altro? Io dico: me ne frego”, tuona il Pippo dei Padiglioni ormai afflitto da un complesso di superiorità. Dimentico, anche lui, quel che osservava con gravità Jean-Jacques Rousseau: “Nel momento stesso in cui, a proposito degli affari dello Stato, qualcuno dice che me ne importa? state pur certi che lo Stato è perduto”. Temiamo che il filosofo del “Contratto sociale” non rientri di certo nel piano di studi dell’analfabeta di ritorno Renzi e del suo candidato-sindaco Sala.
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