DAGOREPORT – DONALD TRUMP HA IN CANNA DUE ORDINI ESECUTIVI BOMBASTICI, CHE FIRMERÀ IL GIORNO DOPO…
1 - IL DAY AFTER DI CROCETTA: «LICENZIAI DALLA REGIONE QUEL GIORNALISTA».E LUI: «È VERO, MA CHE C’ENTRA?»
BORSELLINO - TUTINO - CROCETTA
Nel day after di Rosario Crocetta la rabbia lascia il posto allo sconforto. «Il mio silenzio è totale. Il silenzio del mio dolore infinito». Ma c’è spazio anche per un «contrattacco»: il governatore punta il dito contro il giornalista che ha firmato l’articolo de l’Espresso che parla dell’intercettazione choc col medico Tutino, ipotizzando fini privati nella sua denuncia: il cronista fu infatti licenziato proprio da lui quando era capo ufficio stampa alla Regione Sicilia.
SCONTRO CON L’AUTORE DELL’ARTICOLO
lucia borsellino rosario crocetta
Crocetta fin dal primo momento ha parlato di «azione di dossieraggio» contro di lui dicendosi «distrutto, ucciso, perché è questo che volevano: farmi fuori, eliminarmi». E oggi, il governatore, che nega di aver mai ascoltato la frase nella quale il suo medico diceva che Lucia Borsellino andava «fatta fuori, come suo padre», in alcune interviste pubblicate dai quotidiani, chiede apertamente di «indagare» sull’autore dell’articolo, Piero Messina.
«Chi ha scritto quelle cose? È un giornalista licenziato da me» , ex membro dell’ufficio stampa della Regione siciliana. Ma chi firma lo scoop replica con una dichiarazione all’Ansa: «Quello che dice Crocetta è vero, mi ha licenziato tre anni fa dall’ufficio stampa della Regione. Ma questa vicenda non ha nulla a che fare con l’articolo che ho scritto».
Il cronista, che al momento dell’insediamento di Crocetta ricopriva il ruolo di capo ufficio stampa, specifica che «si tratta di due vicende che non hanno nulla a che vedere» e nega con decisione che ci possa essere, da parte sua, alcuna vendetta o spirito di rivalsa: «Non ho alcuna acredine nei confronti del Presidente della Regione che ho sempre rispettato per il suo ruolo e le sue funzioni».
1 - L’INTERCETTAZIONE FANTASMA - L’ESPRESSO INGUAIA CROCETTA
Giuseppe Lo Bianco e Paola Zanca per il “Fatto Quotidiano”
Piange, Rosario Crocetta. Perché quella frase è una bomba che può terremotare la sua intera vita politica: “La Borsellino va fermata, fatta fuori. Come suo padre”. La dice al telefono il suo medico di fiducia, Matteo Tutino. Un uomo che ha con il governatore della Sicilia un rapporto di legame assoluto, tanto che la Borsellino in questione - Lucia, figlia di Paolo - due settimane fa si è dimessa da assessore perché non poteva tollerare che il chirurgo di fiducia del presidente fosse stato arrestato proprio per una truffa ai danni del sistema sanitario regionale che lei amministrava.
Tutino la dice al telefono, quella frase. E, secondo la ricostruzione pubblicata dal settimanale l’Espresso, Crocetta tace. Non fiata, l’eroe dell’antimafia. Non dice una parola, colui che, sulla lotta ai criminali che Borsellino l’hanno ucciso, ha costruito un’intera carriera. E adesso si dispera: “Non l’ho sentita quella frase, forse una zona d’ombra, forse è caduta la linea... sono sconvolto”.
Se la storia finisse qui, le lacrime di Crocetta, non avrebbero di che stupire. Ma su quell’intercettazione che ieri – alla vigilia del 23esimo anniversario della strage di via d’Amelio - ha monopolizzato il dibattito politico, c’è un giallo che non sarà facile da dipanare. Ecco quello che è successo. In tarda mattinata, l’Espresso diffonde alcune anticipazioni dello scoop che sarà in edicola questa mattina.
C’è la frase di Tutino, dicevamo, e lo sconvolgente silenzio di Crocetta. Il telefono di Lucia Borsellino, che in quel momento si trova a Pantelleria, comincia a squillare: dall’altra parte c’è il coro delle più alte cariche dello Stato che vuole esprimerle solidarietà per quelle parole indegne. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il premier Matteo Renzi, i presidenti di Camera e Senato Laura Boldrini e Pietro Grasso. Lei fa trapelare solo un paio di parole: “Provo vergogna per loro”.
Passano pochi minuti quando, all’ingresso dell’ascensore che conduce al secondo piano del palazzo di Giustizia di Palermo, il procuratore aggiunto Dino Petralia abbozza per la prima volta la contro-bomba: “Non sono io il titolare dell’inchiesta –dice ai cronisti che lo interpellano –ma da quello che si dice tra i miei colleghi di questa conversazione non c’è traccia”.
Quella che all’inizio sembra una difesa d’ufficio, prende corpo all’ora di pranzo. Il coordinatore del fascicolo su Matteo Tutino, il procuratore aggiunto Leonardo Agueci annuncia: “Abbiamo incaricato i Nas di controllare ogni registrazione, ogni brogliaccio, ogni trascrizione e posso dire che a tutt’ora (sono le 13.30, ndr) non è saltato fuori nulla. Per questo posso dire che allo stato una conversazione di quel tenore tra il presidente Crocetta e il medico Matteo Tutino non risulta agli atti”.
Mentre a Palermo spulciano ogni foglio dell’inchiesta, a Roma è partito l’assalto a Crocetta. “Dimissioni subito”, chiede per primo Davide Faraone, sottosegretario a Palazzo Chigi e plenipotenziario di Matteo Renzi in Sicilia. La sua avversione al governatore regionale, per la verità, era pubblica da mesi, visto che da tempo, Faraone (che pure è indagato per le “spese pazze”in Regione) sostiene che Crocetta parli “come Lima e Ciancimino”.
Ma al di là delle partite personali del sottosegretario e di quelli che, come lui, non aspettavano altro per buttarlo giù, il coro contro Crocetta è unanime: “Schifo”, “ribrezzo”, “disgusto”, “ributto”. Dal Pd ai Cinque Stelle alla destra: amici e nemici lo pressano, Crocetta sceglie una strada piuttosto impervia: “autosospensione”dall’incarico, seppure sia un istituto non previsto dallo Statuto della Regione Sicilia.
Dev’essere che anche a lui ha insospettito il fervore con cui la procura di Palermo si è attivata nella ricerca dell’intercettazione. Il Nas dei Carabinieri e i magistrati titolari del fascicolo sono convocati nel pomeriggio nell’ufficio del procuratore Francesco Lo Voi, per scrivere le conclusioni a cui sono giunti dopo otto ore di ricognizione.
Alle 17 arriva il comunicato ufficiale: “Agli atti dell’ufficio – scrive Lo Voi – non risulta trascritta alcuna telefonata del tenore di quella pubblicata dalla stampa tra il governatore Crocetta e il dottor Matteo Tutino” e aggiunge che “i carabinieri del Nas hanno escluso che conversazioni simili siano contenute tra quelle registrate nel corso delle operazioni di intercettazione nei confronti di Tutino”.
L’Espresso lascia passare 90 minuti prima di replicare. Poi diffonde una nota in cui conferma: “La conversazione intercettata risale al 2013 e fa parte dei fascicoli secretati di uno dei tre filoni di indagine in corso sull’ospedale Villa Sofia di Palermo”. È un altro filone rispetto a quello “controllato” dagli uomini di Lo Voi? È un documento che non è ancora arrivato in Procura? L’Espresso precisa solo che è “secretato”.
Il tenore della giornata, però, è già irrimediabilmente cambiato. La parola “dimissioni” è sparita. Il “ributto” e lo “schifo” pure. Il governatore, a sera, parla già al passato. “Metodo Boffo? Peggio, d’ora in poi si può parlare di ‘metodo Crocetta’. Volevano farmi fuori”. Intorno, monta già, l’italico mormorio: “Quel giornalista lavorava all’ufficio stampa della giunta di Raffaele Lombardo”, “Scenari inquietanti”, “qualcuno bara”,“ci sono delle ‘manone’ che trafficano nei fascicoli”.
2 - LO CHOC, IL PIANTO E LO SFOGO: QUESTO È IL MASSACRO DI UN UOMO
Felice Cavallaro per il “Corriere della Sera”
Dopo cento telefonate a vuoto e dopo la clamorosa smentita della Procura (con controreplica dell’ Espresso ) sulla agghiacciante frase attribuita al suo medico personale Matteo Tutino, Rosario Crocetta finalmente risponde ed esplode in un pianto senza fine, accorato, inarrestabile, con qualche parola che emerge dai singhiozzi: «Questo è il massacro di un uomo, ho pensato anche di farla finita, è stato il giorno più brutto della mia vita...».
Dalla voce il governatore della Sicilia, alle sette della sera già «autosospeso» (ma, si dirà poi, l’atto non è stato formalizzato), sembra il Cristo del Venerdì Santo, ma se risponde è proprio perché improvvisamente qualche sito Internet in uno dei suoi rifugi fra Gela e Tusa ha squarciato l’orrore di quella telefonata in cui Matteo Tutino, secondo la ricostruzione oggetto del giallo, avrebbe addirittura suggerito di «far fuori» Lucia Borsellino.
«L’ho detto subito di non avere mai sentito pronunciare quella frase su Lucia», spiega il presidente adesso deciso a riflettere per un giorno prima di decidere se confermare l’autosospensione e passare davvero la guida al vicepresidente di fresca nomina Baldo Gucciardi.
«Non sapevo come replicare a una enorme assurdità come questa volgare frase. E allora, davanti alle certezze di troppi, pronti a prendere per oro colato una falsità, ho pensato forse di non avere sentito per colpa di una zona d’ombra. Chissà, forse Tutino parlava al telefono e io non sentivo. D’altronde, anche secondo quelle infondate indiscrezioni, nella telefonata non replicavo.
E mi accusavano del silenzio. Ma se avessi captato una cosa del genere sarei andato a cercare Tutino per prenderlo a mazzate. Adesso che la Procura smentisce, non so più cosa dire, perché in sei ore mi hanno trasformato in un mostro».
Pesa il primo commento di Lucia Borsellino, avvilita davanti alle informazioni dell’ Espresso : «Non posso che sentirmi intimamente offesa e provare un senso di vergogna per loro, per chi ha detto quelle frasi».
Crocetta comincia così a ragionare sulle «strumentalizzazioni» e le collega a tante, a suo avviso, susseguitesi negli ultimi mesi: «Sono vittima di un gioco volgare che mi sporca, mi offende, mi distrugge. Un dossieraggio. Io non ne posso più. Di che cosa mi ritengono colpevole? Di volere cacciare via il malaffare da questa Regione per decenni nelle mani dei suoi aguzzini?».
Ma è anche vero che il suo governo sta da tempo pericolosamente in bilico sul crinale di una Sicilia con 8 miliardi di debito e che per inefficace antidoto ha scelto di cambiare un assessore al mese, 37 in meno di tre anni. Anche liquidando un magistrato come Nicolò Marino, assessore fuoriuscito perché in contrasto con il Ghota di Confindustria Sicilia e con Beppe Lumia, l’ex presidente dell’antimafia rimasto gran manovratore della squadra di governo. Non a caso Marino resta un pungiglione al fianco del governatore: «Crocetta ha ceduto ai poteri forti. Anche la sua antimafia è ormai una finzione».
Tema che riporta ad un altro ex magistrato di primo piano rimasto invece in forte sintonia con il presidente della Regione, Antonio Ingroia, passato dalla Procura di Palermo addirittura alla candidatura a premier, ma approdato nel sottogoverno di Crocetta come amministratore della società che segue l’informatizzazione, «Sicilia E-Servizi».
Lo sa che sono continui gli attacchi contro Lumia, Ingroia e altri pochi suoi fedelissimi come l’ex commissario di polizia di Gela, Antonio Malafarina. Ma non demorde. Come nei primi tempi, quando si cercava uno scheletro nell’armadio e lui rintuzzava: «A qualcuno piacerebbe molto. Ma siamo alla fiction. Mi si rimprovera di avere avuto per amico di infanzia un boss che a Gela abitava vicino a casa mia.
ENZO BIANCO E ROSARIO CROCETTA
Come ho detto ai magistrati di Caltanissetta presentando le querele, basta leggere una lettera inviata anni fa da quel soggetto alla scrittrice Silvana Grasso, lettera in cui si lamenta che dopo quel tempo, fatte scelte diverse, non ci siamo più nemmeno salutati. Insomma, c’è pure la prova documentale».
Adesso la prova documentale ha temuto che fosse arrivata davvero. Con l’ Espresso . Poi smentito dalla procura di Franco Lo Voi e dell’aggiunto Leonardo Agueci. Ma la partita non è chiusa. Resta anche il nodo di una Sicilia dilaniata, la stessa dei viadotti che crollano o della malasanità che uccide, anche se il governatore sembra già pronto al contrattacco: «L’ho trovata svuotata, avvilita, offesa, dilapidata e adesso qualcuno vorrebbe attribuire la colpa a me che sto disperatamente cercando di rimetterla in sesto»
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