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Giuseppe Sarcina per il “Corriere della Sera”
Imprevedibile, flessibile. Donald Trump dice di essere così e così dovrà essere la politica estera dell' America, se a novembre dovesse vincere le elezioni presidenziali.
Ieri a mezzogiorno, il front runner dei Repubblicani si è presentato in un grande albergo di Washington per tenere un discorso sulle relazioni internazionali.
Quaranta minuti studiati nei dettagli, con uno schema per punti segnati su lavagne digitali non visibili dal pubblico televisivo. Il miliardario newyorkese ha passato in rassegna i temi ormai classici: la debolezza dell' America, la «fallimentare» politica di Barack Obama e Hillary Clinton, ma anche il «più grave errore della storia recente» commesso dal presidente repubblicano George Bush, quando decise di attaccare l' Iraq nel 2001. La «dottrina Trump» è un' atipica combinazione di minacce e di aperture, di interventismo e di isolazionismo.
«Imprevedibile», appunto, «flessibile», «negoziabile». Ci sono alcuni obiettivi di fondo, se siano anche realistici è un' altra storia. Primo: gli alleati. I Paesi europei che fanno parte della Nato «devono pagare la quota che gli spetta per condividere le spese della difesa comune».
E la stessa cosa «dovranno fare gli asiatici», a cominciare dal Giappone. «Gli Stati Uniti non sono più in grado di farvi fronte: o gli amici lo capiscono, oppure dovranno difendersi da soli».
Secondo: gli avversari politici ed economici, Cina e Russia. «Con questi Paesi abbiamo interessi comuni, ma dobbiamo negoziare con i cinesi per riequilibrare il nostro deficit. Con i russi possiamo trovare un' intesa contro l' Isis».
Terzo: lo Stato islamico: «I terroristi hanno i giorni contati. Li andremo a prendere rapidamente, se necessario anche mandando i nostri soldati».
A questo punto la «dottrina» lascia spazio alle massime del «trumpismo». La politica estera diventa una questione di «rispetto».
«Gli altri Paesi non ci rispettano come dovrebbero. A Cuba il presidente degli Stati Uniti non è stato ricevuto dalla massima autorità; lo stesso è capitato in Arabia Saudita. La Cina, la Russia non ci rispettano».
donald trump con melania ivanka e il marito
E ancora: «Adesso siamo troppo scontati. Prendiamo la guerra contro l' Isis, per esempio. Diciamo sempre prima quello che stiamo per fare. Invece dobbiamo ricostituire la più grande forza militare del mondo, ma cerchiamo di essere imprevedibili». Trump deve anche stare attento a non farsi scavalcare dall' oltranzismo di Ted Cruz che ieri, per altro, ha imbarcato come possibile vice presidente la manager Carly Fiorina, altro super falco in politica estera.
donald trump campagna nello stato di new york
Nelle ultime settimane si è parlato di un Trump più «presidenziale», almeno dello stile, seguendo i suggerimenti del nuovo consigliere, Paul Manafort. Ma nel mondo del tycoon c' è sempre qualcosa che sfugge, qualcosa, appunto, di «imprevedibile».
L' ultimo caso è la battuta su Hillary Clinton, pronunciata subito dopo la vittoria nelle primarie di martedì sera.
Trump comincia con «francamente»: il segnale che sta per debordare. «Francamente, se Hillary fosse un uomo, non penso che arriverebbe al 5% dei voti. La sola cosa che è in grado di fare è giocare la carta dell' essere una donna. E la cosa meravigliosa è che lei non piace alle donne». È come se esistesse una forza centrifuga, incontenibile, che fa ondeggiare Trump tra l' apparire «presidential» e l' essere «frankly».
TRUMP
donald trump in nevada
trump
TRUMP
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