DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”
La prima volta si diedero del lei. Fu nei giorni delle consultazioni per il governo Draghi, quando Meloni si presentò davanti al premier incaricato per dirgli che «noi faremo l'opposizione. Ma sappia che gli avversari li avrà in casa».
L'ex banchiere fu colpito da tanta schiettezza e dal «consiglio non richiesto» che ricevette: «Se posso, non stia a mediare. Perché appena lei concederà qualcosa, quelli ne pretenderanno altre». Nacque così un dialogo che ieri ha vissuto il suo momento istituzionale nel passaggio di consegne a Palazzo Chigi, dove l'uomo di Francoforte e la ragazza della Garbatella si sono dati del tu.
Un incontro avvenuto in un'atmosfera di cordialità: da una parte c'era chi si prepara a «viaggiare per un po' di tempo», dall'altra chi cela dietro il sorriso l'«angoscia della responsabilità». Certo, Meloni è parsa a Draghi piena di aspettative e assai motivata: «È sveglia lei», ha detto ai suoi collaboratori al termine del colloquio. Durante il quale il presidente del Consiglio uscente ha raccontato i dettagli dell'ultimo vertice europeo, lì dove l'Italia ha ottenuto «risultati inaspettati» sul tema strategico dell'energia.
E ora che sono state date «indicazioni stringenti» alla Commissione, toccherà al nuovo governo incalzare Bruxelles e martellare i partner per chiudere l'intesa. Per raggiungere l'obiettivo su un dossier che è molto tecnico, Meloni aveva già concordato con Draghi di inserire l'ormai ex ministro Cingolani come advisor nel suo gabinetto. E dato che in Europa il principale sostenitore del price cap è il presidente francese, è certo che i due hanno parlato di Macron, in vista del colloquio informale avvenuto in serata a Roma tra la premier italiana e l'inquilino dell'Eliseo.
D'altronde l'ex capo della Bce riteneva «naturale» mettere Meloni nelle «condizioni di partire bene». L'ha fatto da civil servant, nell'interesse nazionale, consegnando anche una cartellina sui dossier più importanti: tra questi, i decreti legislativi da varare sulla concorrenza e il report sul processo di attuazione del Pnrr, con il monitoraggio sullo stato di avanzamento dei lavori. Inoltre ha informato la premier che il presidente del Consiglio di Stato Frattini invierà oggi la riscrittura del codice degli appalti, in anticipo rispetto ai tempi previsti.
Questa transizione ordinata rappresenta una novità nei meccanismi di relazione tra un governo e l'altro. E l'ora e venti di colloquio tra Draghi e Meloni rivela un rapporto che va oltre le formalità, per quanto l'ex governatore abbia fatto mostra di restare stupito dalla cosa. In realtà sa che non è così. Quando succedette a Conte, il colloquio durò appena cinque minuti: non ci furono battute, sorrisi e rinfresco. E tantomeno l'incontro venne suggellato con una foto, com' è accaduto stavolta.
Ci sono ragioni politiche alla base di questo evento: il segno di una inevitabile continuità tra un governo tecnico e un governo nato dalla volontà popolare, che sarà chiamato a implementare il lavoro di chi l'ha preceduto, garantendo gli impegni del Paese sia sul fronte nazionale sia su quello internazionale. È una missione di cui la premier appena insediata ha contezza, pur rivendicando il profilo diverso del suo esecutivo.
Ma alla base del rapporto tra Draghi e Meloni ci sono anche ragioni di reciproca stima personale. Nonostante incarnino mondi diametralmente opposti, l'intesa si è saldata nel corso di venti mesi per nulla ordinari. Il salto di qualità avvenne il 24 febbraio, quando - racconta uno dei maggiori consiglieri del premier uscente - «da capo di partito Meloni diventò leader politico», sostenendo il governo sul conflitto ucraino: «Ci aiutò, mentre nella maggioranza affioravano dappertutto i malpancisti». Fu allora che Draghi commentò: «È leale, lei».
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