LA LIBERAZIONE DI CECILIA SALA È INDUBBIAMENTE UN GRANDE SUCCESSO DELLA TRIADE MELONI- MANTOVANO-…
Dagoreport
Il governo Draghi, fresco di insediamento, potrebbe regalarci il suo primo passo falso. Si vocifera che il ministro dell'Economia, Daniele Franco, abbia telefonato ad Antonio Agostini, direttore dell'Agenzia del Demanio, per informarlo dell'intenzione di sostituirlo con Alessandra Dal Verme, responsabile dell'Ispettorato generale per gli affari economici, nonché cognata dell'ex presidente del Consiglio, e attuale commissario economico UE Paolo Gentiloni. A Via XX Settembre si sono immediatamente surriscaldati gli animi: "Ma come, anche con Draghi prevale il 'tengo famiglia'?".
Il conte Gentiloni, già ribattezzato "Er Saponetta" o "Er moviola" per la sua proverbiale capacità di troncare, sopire e assopirsi, si è molto prodigato per sponsorizzare la Dal Verme con l'amico Mario Draghi.
Il suo movimentismo deve essere frutto della delusione: sognava di lasciare Bruxelles per fare il ministro degli Esteri; invece l'ex portaborse di Rutelli è stato stoppato dal Quirinale e da Draghi, che lo hanno inchiavardato a Bruxelles, facendogli capire che la poltrona di Commissario europeo per gli Affari economici - seppur schiacciato come una sogliola dall'ingombrante e autoritaria presenza di Dombrovskis - non si molla perché l'Italia resterebbe a bocca asciutta.
E il Pd? Tra i dem serpeggiano veleni, malumori e anche molti vaffanculo che, a parabole arcuate, si spostano da una corrente all'altra. E che le pistole siano cariche per la resa dei conti del Congresso di giugno, lo dimostra l'alzata di boccoli della rediviva Marianna Madia che, dopo aver abboccato alla promessa (mancata) di Zingaretti di avere solo sottosegretari donne, ha fatto dietrofront subodorando l'incarico-contentino: "Le donne devono essere nei posti chiave, non accetto di occupare strapuntini". Tiè!
Il bersaglio neanche tanto velato della frecciata è il trinariciuto Andrea Orlando, fatto ministro dal dupex Zinga-Bettini per pararsi il sederino in ragione del 15% della sua corrente, a scapito delle ambiziose sciùre dem.
Su-Dario Franceschini non sprizza gioia, anzi. È imbufalito perché il sonnacchioso Zingaretti non ha combattuto con Draghi per preservare il ministero dei Beni culturali dallo scorporo del Turismo, finito nelle mani del leghista in quota Giorgetti, Garavaglia.
E tra i piddini si fa largo prepontemente la convinzione che Zingaretti e il suo ideologo-burattinaio Goffredo Bettini non contino una amata minchia: "Avevamo quattro ministri pesanti: Gualteri all'Economia, Boccia alle Regioni, De Micheli ai Trasporti e Amendola agli Affari europei. E ora?".
La spinona nel fianco di un partito allo sbando, però, resta sempre il ruolo di Goffredone. Il capofila e unico membro della "corrente thailandese" continua a rilasciare interviste in cui tratteggia elaboratissimi scenari che condivide in piena solitudine.
Sabato su "La Stampa", su input di Conte, è tornato sulla necessità di avere lo schiavo di Casalino come federatore dell'alleanza Pd-M5s-LeU.
Gli "addetti ai livori" dem hanno fatto notare come alla decisione di creare l'intergruppo parlamentare sia seguito lo schiaffo di Beppe Grillo che ha rilanciato la ricandidatura dell'insostenibile Virginia Raggi ("Aridaje!"), lasciando il Pd con il cerino in mano e depotenziando così il ruolo di Conte come punto di equilibrio tra le due forze.
Messo all'angolo dall'Elevato, Bettini si è affrettato a dire "no" alla sindaca per pararsi le rotondissime terga dall'ennesima ondata di livori dem. E se non c'è un accordo con i pentastellati a Roma, non va meglio a Torino dove il dopo-Appendino è ancora appeso all'incertezza.
beppe grillo giuseppe conte luigi di maio
Il caos avvolge anche quel puzzle smontato che è il Movimento Cinquestelle: balcanizzato, sfilettato della sua identità, si barcamena tra espulsioni, scissioni e minacce di class action.
Tormentato da mille dubbi, alla fine Beppe Grillo s'è deciso: è disposto a incoronare Conte nuovo leader delle macerie grilline. Anche perché, una volta fuoriusciti gli anti-Draghi e con il passo indietro di Di Maio (che certifica la sua inettitudine alla leadership), restava disponibile e arruolabile solo l'Avvocato di Padre Pio per trovare una quadra tra le diverse anime dannate grilline.
Ma BeppeMao qualche dubbio lo coltiva ancora. Ha registrato, ad esempio, l'insofferenza della truppa grillina verso i "contiani" di prima linea: Bonafede e Casalino. Indigesti al corpaccione del Movimento, con "Giuseppi" leader, tornerebbero al vertice della catena alimentare, con diffuso malcontento.
E poi l'ex comico si è chiesto se una Pochette dal volto umano come Conte - pasciuto tra i codicilli di Alpa e tinte corvino - sia effettivamente in grado di sporcarsi le manine con le riottose fronde grillonze fronteggiando beghe interne, piattaforme, voti online, pretese e sgambetti.
Il primo a manifestare scetticismo è lo stesso Conte che per sé preferirebbe il ruolo "alla Prodi" di federatore, padre nobile dell'alleanza Pd-M5s-LeU al punto da sollecitare Bettini a incoronarlo ogni due per tre nelle sue interviste.
Mario Draghi, quindi, si ritrova immerso in un pollaio di divette capricciose che sognano di comandare e dettare legge. Anche per questo ha chiesto al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli, di assumere il ruolo di parafulmine rispetto alle richieste incalzanti dei partiti.
Compreso quella, surreale, di dare un sottosegretario al Mef a tutti i cinque gruppi della maggioranza. Grasse risate a Palazzo Chigi, ovviamente: "Cosa se ne fanno di un sottosegretario se al Recovery fund lavoreranno solo il ministro Daniele Franco e il direttore generale Alessandro Rivera?".
Se la partita dei sottosegretari è vicina alla chiusura, a che punto è il Recovery plan da consegnare a Bruxelles? A zero, tutto da rifare. Domenica prossima Draghi e i ministri competenti si riuniranno virtualmente per capire in che direzione muoversi.
Per le 500 nomine nelle partecipate si aspetterà il 13 di marzo quando, dal tribunale di Milano, dovrebbe arrivare la fatidica sentenza su Claudio Descalzi sul caso Eni-Nigeria. I dossier Rete Unica e Aspi saranno "lavorati" da Draghi ad aprile, non prima.
matteo renzi mohammed bin salman
E Renzi? Aveva promesso che, risolta la crisi di governo, avrebbe fornito le necessarie spiegazioni sul suo rapporto con l'Arabia Saudita. I chiarimenti, però, non sono mai arrivati.
L'imbarazzo dalle parti di Rignano è notevole: come si fa a giustificare il rapporto con Bin Salman agli occhi di Joe Biden e della nuova amministrazione Usa che non ha voglia di dialogare con i regimi a basso tasso di democrazia?
Ps: chissà se il gelo del Quirinale verso Conte, registrato nelle ultime settimane, è una vendetta per la sicumera con cui "Giuseppi", gonfiato da Casalino come una mongolfiera, ha ignorato i "consigli" del Colle negli ultimi sei mesi. Ah, non saperlo…
matteo renzi bin salman memegiuseppe conte sergio mattarellaconte mattarellagiancarlo giorgetti mario draghi stefano patuanelli luciana lamorgese roberto garofoli marta cartabia
Ultimi Dagoreport
DAGOREPORT - MARIA ROSARIA BOCCIA COLPISCE ANCORA: L'EX AMANTE DI SANGIULIANO INFIERISCE SU "GENNY…
DAGOREPORT - NON SAPPIAMO SE IL BLITZ VOLANTE TRA LE BRACCIA DI TRUMP SARÀ UNA SCONFITTA O UN…
DAGOREPORT - A CHE PUNTO È LA NOTTE DI CECILIA SALA? BUIO FITTO, PURTROPPO. LA QUESTIONE DELLA…
DAGOREPORT – IL 2025 HA PORTATO A GIORGIA MELONI UNA BEFANA ZEPPA DI ROGNE E FALLIMENTI –…
DAGOREPORT - DAVVERO MELONI SI È SOBBARCATA 20 ORE DI VIAGGIO PER UNA CENETTA CON TRUMP, CON…