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Paolo Valentino per “il Corriere della Sera”
In caso di un attacco del Patto di Varsavia al territorio tedesco occidentale, la Repubblica Federale era pronta in nome dell'emergenza a trasformarsi in poche ore in un Paese autoritario, con l'arresto di un migliaio di persone ritenute nemiche dello Stato, la fusione tra polizia e servizi segreti, la limitazione delle garanzie costituzionali.
Tutto doveva essere pronto, secondo il piano messo a punto nell' estate del 1963 dal Ministero federale degli Interni, conservato negli archivi del dicastero. Classificato «top secret» fino a poco tempo fa, il documento è al centro di un libro dello storico Martin Diebel, di prossima pubblicazione in Germania. Der Spiegel ne anticipa il contenuto oggi. La Guerra Fredda era nel momento di massima tensione. Neanche un anno prima, la crisi dei missili a Cuba aveva portato il mondo sull' orlo di un conflitto nucleare tra Usa e Urss.
La prospettiva per la Germania di diventare campo di battaglia di uno scontro armato in Europa non era solo un' ipotesi di scuola. Ma la giovane Repubblica Federale non aveva nella sua Costituzione alcun articolo riguardante la proclamazione e la gestione dello stato di emergenza. Né sarebbe stato possibile cambiarla in corsa mettendo insieme una maggioranza dei due terzi al Bundestag, vista l' alta conflittualità politica esistente tra Cdu-Csu e l' opposizione socialdemocratica.
In caso di guerra, sarebbero state le potenze occupanti (Usa, Gran Bretagna e Francia) ad assumere il controllo della situazione. Così Konrad Adenauer e il suo ministro degli Esteri, Gerhard Schröder (nessuna parentela con l' omonimo e futuro cancelliere) decisero di mettere nero su bianco il piano segreto, una sorta di Gladio tedesca che avrebbe dovuto contribuire a difendere la Germania Ovest dall' Armata Rossa. Schröder era stato agli Interni fino al 1961 ed era considerato l' uomo forte della Cdu.
Ma come spiega Diebel, la soluzione pensata tradiva un radicato riflesso anti-democratico. In quegli anni, la burocrazia della Repubblica era infatti in buona parte la stessa che aveva servito sotto il regime hitleriano. Nel solo ministero degli Interni, i posti guida erano per due terzi occupati da ex nazisti. Dai vertici del dicastero ai livelli più bassi, secondo lo storico, i documenti rivelano un pensiero dominante «anti-liberale, antiparlamentare, autoritario».
L'ossessione era quella di una sollevazione comunista interna, che avrebbe accompagnato l' attacco sovietico, in un Paese dove il Partito comunista era fuori legge dal 1956 e non aveva alcuna presa sull' opinione pubblica. Gli stranieri sospetti? In carcere senza processo. Le organizzazioni non affidabili?
Chiuse e i loro beni sequestrati. La Corte Costituzionale? Sterilizzata. Il Bundestag? Troppo polemico, dunque andava esautorato nella proclamazione dell' emergenza, affidata al più disponibile presidente della Repubblica. Soltanto nel 1968, fu approvata una legge sull' emergenza che prevedeva il controllo del Parlamento e le garanzie dello Stato di diritto.
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