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Raimondo Bultrini per “la Repubblica”
Nelle Filippine nessuno crede che l'annunciato e clamoroso ritiro dalla scena politica del "Giustiziere" Rodrigo Duterte sarà più che un atto formale, inevitabile conseguenza del veto costituzionale alla sua rielezione sia come presidente che come candidato alla vicepresidenza.
La crisi del Covid è stata un disastro per la sua immagine e presto dovrà affrontare un processo internazionale per violazione dei diritti umani durante la sua campagna antidroga, costata la vita a migliaia e migliaia di presunti spacciatori compresi più di 70 bambini.
Ma nonostante tutto è sempre lui al centro dei giochi per la sua sostituzione nelle prossime elezioni del maggio '22. L'ipotesi più accreditata era fino a pochi giorni fa che al suo posto sarebbe andata la apparentemente riluttante figlia di primo letto Sara, alla quale 6 anni fa lasciò la poltrona di sindaco di Davao per fare il presidente. Nonostante i sondaggi favorevoli, lei aveva subito smentito l'ipotesi, salvo essere ri-smentita subito dopo da papà Rodrigo.
"Allora - gli hanno chiesto - è chiaro, è Sara-Go? (Sara si presenta?"). "È Sara-Go", ha risposto deciso. A più di un mese dalla chiusura candidature, sua figlia - che come lui è avvocato - ha insistito però in pubblico che vuole ripresentarsi per la carica di sindaco nella città meridionale feudo di famiglia. Ma Duterte potrebbe scoprire un disegno dinastico di ben più ampio respiro, l'incrocio politico con una famiglia dal passato infamante anche se ancora influente come i Marcos.
Il Partito federale filippino o Pfp, creato appena 3 anni fa e controllato da Duterte, ha annunciato come suo candidato alla presidenza Ferdinand "Bongbong" Marcos, figlio 64enne dell'ex dittatore cacciato a furor di popolo nel 1986 dopo 20 anni di regime sanguinario, oltre 3mila morti, arresti e torture di massa.
Ex playboy ora padre di tre figli, già governatore del feudo di famiglia di Ilocos Norte e senatore, Bongbong ha confermato la sua discesa in campo poco dopo aver preso giuramento per la prima volta nella sede del Pfp del quale è diventato anche leader, pur restando a capo di altre formazioni di destra come il suo Partito Nazionale.
L'obiettivo è "quella forma di leadership unificante del nostro paese" che - ha detto - fece grande l'arcipelago sotto il padre dittatore, del quale nega sia le atrocità che i furti di miliardi di contanti, gioielli e beni sottratti al già sofferente popolo filippino.
I bene informati dicono che Duterte lascia aperte due possibilità di alleanza con i Marcos, la prima un tandem tra il figlio del dittatore come presidente e sua figlia nella veste di vice, mentre la seconda prevede di affiancare a Bongbong il suo uomo più fidato come vicepresidente, un senatore di nome Christopher Lawrence, detto "Bong'' Go.
Ma il team Bongbong-Bong dipenderà dalla decisione di Sara Duterte, che ha tempo ancora un mese per dire quale candidatura sceglierà. In attesa dei nuovi episodi della saga Duterte Marcos, sul fronte democratico si prepara a sfidarli un personaggio altrettanto popolare, il campione di boxe Manny Pacquiao, unico a conquistare 12 titoli mondiali in otto diverse classi di peso.
Cresciuto negli stenti e emerso a forza di pugni, Pacquiao si presenta come paladino del popolo dopo aver vinto con la sua fazione la sfida per il controllo del Partito democratico Pdp Laban, lo stesso con il quale Duterte venne eletto sei anni fa. Ma le speranze del pugile di mettere Ko la nuova dinastia ibrida dei despoti sono affidate a un miracolo.
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