
DAGOREPORT - LA SCONFITTA MARCHIGIANA SE LA SONO CERCATA I PARTITI DEL CENTROSINISTRA – GRAN PARTE…
È GIÀ COMINCIATO IL GRAN BALLO DELLE POLTRONE CON VISTA SULLE NOMINE DI PRIMAVERA 2026 CHE COINVOLGONO TUTTE LE PIÙ RICCHE AZIENDE DI STATO - ANCORA TRE ANNI PER DESCALZI DI ENI, CINGOLANI DI LEONARDO, DI FOGGIA DI TERNA, CATTANEO (ENEL) E DEL FANTE (POSTE), SE NON CHIAMA CALTAGIRONE PER OCCUPARE IL POSTO DI DONNET A GENERALI - SONO IN PALIO LE POLTRONE DI PONTECORVO A LEONARDO, SCARONI A ENEL E ZAFARANA A ENI – FAZZOLARI DÀ LE CARTE, CON INTROMISSIONI DI BARELLI PER FORZA ITALIA, BAGNAI PER LA LEGA, LOLLOBRIGIDA PER FDI - AL TESORO SORVEGLIA GIORGETTI CON SORO - SU MILITARI, POLIZIA E SERVIZI MUOVE LE PEDINE MANTOVANO: IPOTESI DI PROROGARE DI UN ANNO ANDREA DE GENNARO, COMANDANTE DELLA GUARDIA DI FINANZA…
Carlo Tecce per https://lespresso.it/
GIORGIA MELONI CON GLI OCCHIALI ALLE NAZIONI UNITE
La sfida è titanica: convincere i lettori che sia interessante e – potremmo eccedere – financo istruttivo, niente pernacchie per favore, scrivere e perciò leggere un pezzo sulle nomine pubbliche o comunque di matrice pubblica.
La sfida è doppiamente titanica perché presuppone, condizione necessaria, che il governo di Giorgia Meloni e coloro che ne esercitano il potere siano lungimiranti, dei raffinati pianificatori, di pensiero lungo seppur a volte col fiato corto.
È già cominciata la mobilitazione generale: poltrone promesse, poltrone rimesse, poltrone rimosse con vista sulle nomine di primavera ’26 che coinvolgono tutte le più grosse e ricche aziende di Stato. Non è presto, è tardi. Proprio in queste settimane, per dirne una di pensiero lungo, il governo riflette sull’ipotesi di prorogare di un anno il triennio in scadenza a maggio di Andrea De Gennaro, fratello di Gianni, comandante della Guardia di Finanza. Questo è un prologo, lo recuperiamo in fondo al testo.
La campanella è suonata con Mediobanca e la resa non senza lotta di Alberto Nagel. L’amministratore delegato ha lasciato Piazzetta Cuccia dopo essere entrato nel ’91 in piena epoca di Enrico Cuccia e dopo 17 anni di controllo assoluto, incontrastato, più isolato che salottiero.
Nagel non ha resistito al Monte dei Paschi di Siena rimpolpato dalla cura del ministero del Tesoro e dai capitali della famiglia Del Vecchio, del gruppo Caltagirone, di Banco Bpm. Francesco Milleri (EssilorLuxottica) ha ottenuto lo scalpo di Nagel e ha mantenuto l’impegno con il suo mentore Leonardo Del Vecchio che non ha fatto in tempo a gustarsi da qui la sua vendetta.
La milanese Mediobanca sarà presto assorbita da Siena (cioè Roma) e non sarà più un oggetto dei desideri di grandi banchieri o presunti tali per mancanza di un oggetto. Piazzetta Cuccia delenda est. Luigi Lovaglio di Mps ha la sua visione e un anno a disposizione per far valere le sue idee (e i suoi uomini), conservando la fiducia degli azionisti dopo l’assemblea di aprile.
Il mirino romano, leggasi l’ingegnere Francesco Gaetano Caltagirone, si sposta con impeto su Trieste. Il francese Philippe Donnet, l’amministratore delegato di Assicurazioni Generali, ha la strada tracciata: è una strada interrotta, un ponte sul vuoto, deve soltanto decidere come e quando congedarsi.
francesco gaetano caltagirone giorgia meloni
Lo sciagurato progetto di fondere il risparmio gestito di Generali (600 miliardi di euro) con quello dei francesi di Natixis (1.300 miliardi di euro) non ha moltiplicato ancora il patrimonio, ma i nemici/critici di Donnet sì, ben catechizzati dall’ingegnere Caltagirone. Purtroppo per Donnet, in cima alla lista c’è il governo Meloni. Con le spalle scoperte dopo l’addio di Nagel – Mediobanca è il primo azionista di Generali, seguono famiglia Del Vecchio, Caltagirone, Benetton, mentre Unicredit ha ridotto drasticamente la sua quota – Donnet non ha più appigli. Non ha più strada. Au revoir, Philippe.
Trieste (città) libera è una destinazione parecchio bramata. Non è una nomina pubblica né sarà una nomina indifferente al pubblico. Al governo in carica. Il denaro è della famiglia Del Vecchio manu Milleri e soprattutto di Caltagirone.
Al momento si ragiona su una quaterna: Giulio Terzariol, capo del ramo assicurativo; Mario Greco, capo di Zurich; Flavio Cattaneo, capo di Enel; Matteo Del Fante, capo di Poste. Terzariol è la soluzione interna, diciamo interlocutoria, Caltagirone che entra a Trieste, si presenta con riverenza, la omaggia. Greco è la soluzione riscaldata, che non rischia e non osa, un ritorno a distanza di un decennio.
Cattaneo è la soluzione più scontata, prevedibile sin dal principio (è nel Cda di Generali), puntellata con solidi agganci politici. Cattaneo dovrebbe rinunciare a Enel dopo un solo mandato, dopo eccellenti risultati, dopo essere sopravvissuto, anzi dopo aver trovato un equilibrio con Paolo Scaroni, un presidente ingombrante, che ha imperato tre anni in Enel e nove in Eni, e che pare disposto a non farsi riconfermare (non potremmo mai affermare che qualcuno non lo voglia riconfermare).
Invece Del Fante è ormai al terzo mandato, la navigazione è serena, e però nei mesi scorsi ha aperto un nuovo fronte con l’ingresso di Poste in quel che resta di Tim. Un amministratore delegato che si avverte in uscita non apre un nuovo fronte. Del Fante ha ricevuto l’investitura in Poste dai governi di centrosinistra di Paolo Gentiloni e di Giuseppe Conte e dal governo di centrodestra di Meloni e ha sempre beneficiato del sostegno del Quirinale.
La sua vocazione finanziaria – si è svezzato a Jp Morgan appena laureato, poi Cassa depositi e prestiti e Terna prima di Poste – lo rende papabile per Caltagirone. Trieste potrebbe sguarnire un posto a Roma, Enel se fosse Cattaneo, Poste se fosse Del Fante. A bordocampo se ne scaldano a frotte, ne entra uno, forse nessuno, dipende.
Il governo Meloni è scientemente indolente: non vuole rovinare ciò cha ha tirato su a fatica nella primavera ’23 né vuole sperimentare o, peggio, scontentare gente che sa e che fa. Stavolta le nomine non servono ad avviare il governo, ma a tentare di prolungarne l’esistenza oltre le elezioni del ’27, che si dovrebbero tenere a giugno, non settembre come nella scorsa tornata.
Il melonismo è stato un fenomeno “congiunturale”, legato a un periodo politico suggellato nelle urne con successi pressoché inevitabili, come lo sono stati quelli di Matteo Renzi, Matteo Salvini e dei Cinque Stelle. Meloni ha l’ambizione, e la possibilità che altri non hanno avuto in dote, di diventare un fenomeno “sistemico”: e cos’altro ha le fattezze del “sistemico” se non le nomine pubbliche?
Il messaggio è andiamo avanti assieme. E dunque ancora tre anni per Claudio Descalzi di Eni, Roberto Cingolani di Leonardo come per Cattaneo e Del Fante se non chiama Generali e anche per Giuseppina Di Foggia di Terna, accolta con molta diffidenza all’esordio nel novero dei boiardi di Stato.
Insellato da Renzi nel lontano 2014 e figura imprescindibile per ogni presidente del Consiglio per le sue relazioni internazionali, il più forte del mazzo è indubbiamente Descalzi. Neanche ci si interroga timidamente su una sua eventuale sostituzione, e farebbe male Cingolani, per esempio, a immaginare che Eni sia contendibile, lo sarà forse nel 2029 o nel 2032. A Descalzi piacendo.
Perché mai il governo dovrebbe scoperchiare malumori e illusioni dentro le più grosse e ricche aziende di Stato. Per Poste, con Del Fante a Generali, potrebbe vagliare l’opzione Giuseppe Lasco, direttore generale e da sempre al fianco di Del Fante. Per Enel, con Cattaneo a Generali, dovrebbe sopire, o assecondare, le tentazioni di Stefano Antonio Donnarumma che, dopo aver perso la multinazionale dell’energia nel ’23, si è accomodato sulla poltrona scomodissima di Ferrovie dello Stato.
Attenzione però: i partiti di centrodestra non sono mica inappetenti. Semplicemente ai partiti sarà suggerito di concentrarsi sui Consigli di amministrazione (il Tesoro sarà attento a indicare gente all’altezza, nota bene) e sulle presidenze più rilevanti. Per questo motivo sono in palio le poltrone di Stefano Pontecorvo a Leonardo e presumibilmente quelle di Scaroni a Enel e del generale Giuseppe Zafarana a Eni.
roberto cingolani stefano pontecorvo lorenzo mariani
Proprio per evitare tensioni, il governo vorrebbe portare a maggio ’27 la permanenza di De Gennaro alla Guardia di Finanza. Non è una scelta di scarso rilievo. Nel dicembre ’21 il governo Draghi ha approvato una norma per aggiungere un anno al mandato triennale dei generali di corpo d’armata in posizione di comando, come l’allora comandante Zafarana, che non avessero raggiunto l’età della pensione. Non è il caso di De Gennaro. Ci sono un paio di mesi per risolvere questo dilemma.
Su militari, polizia e apparati di sicurezza il governo è totalmente influenzato dal giudizio, e dalle decisioni, di Alfredo Mantovano. Il sottosegretario utilizza con discrezione il suo ruolo, e concede nulla o quasi.
Alle grosse e ricche aziende di Stato ci pensano Giovanbattista Fazzolari e il capo di gabinetto Gaetano Caputi; il deputato Paolo Barelli per la Forza Italia di Antonio Tajani; il senatore Alberto Bagnai per la Lega di Matteo Salvini; il ministro Francesco Lollobrigida con il deputato Angelo Rossi che rivendica il suo spazio di Fdi.
giovanbattista fazzolari e giorgia meloni
Al Tesoro sorveglia il ministro Giancarlo Giorgetti con il direttore generale Francesco Soro, arbitri dai caratteri diversi che applicano le stesse regole: no pastrocchi. A questo punto la nostra sfida titanica sembra perduta. Che Soro fischi tre volte e ci spedisca negli spogliatoi.
GAETANO CAPUTI
Francesco Soro - foto lapresse
antonio tajani paolo barelli
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