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Mattia Feltri per "la Stampa"
Giorgio Stracquadanio è morto ieri sera a Milano. Non era un politico di primissima fila, come spesso succede ai politici bravi e preparati. Era berlusconiano, ultimamente un po' disilluso, e sempre disincantato perché il disincanto - oltre alla tenacia - è la cifra di chi viene dalla scuola di Marco Pannella. Aveva 54 anni. Li avrebbe compiuti il prossimo marzo. Da questa legislatura non era più parlamentare ma ogni tanto lo si vedeva a Montecitorio. I giornalisti andavano da lui perché era colto, beneducato e intelligente, e conversarci era gradevole, oltre che professionalmente utile.
Era diventato famoso per le dichiarazioni sfrontate, che ne avevano fatto quello che oggi si direbbe un falco. Ã strano: ci sono tanti politici, e lui era di quelli, che si divertono a predicare male e razzolare bene. Talvolta arrivava con faccia compiaciuta e regalava un'arguzia per un articolo.
Aveva cominciato da ragazzo coi radicali. A Milano, dove era nato e dove suo padre era un importante commercialista con uno studio lussuoso in zona San Babila. I giovani radicali qualche volta si riunivano in quello studio a pianificare il lavoro dei giorni successivi. E siccome i radicali di soldi non ne hanno mai avuti, lì si prendevano penne, risme di carta, si facevano le fotocopie.
Stracquadanio parlava e lo si ascoltava. Non era banale, non aveva allora e mai in futuro il desiderio di compiacere con posizioni scontate: odiava il politicamente corretto. Per questo veniva facile criticarlo e per questo era interessante. Spiegava, per esempio, per quale motivo era a favore delle leggi ad personam. Un paio di mesi fa è andato al pronto soccorso perché aveva trascorso la notte in bianco per un dolore insopportabile ai polmoni. «O è polmonite o è cancro: ho fumato una piantagione di tabacco». Era cancro.
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