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Gian Antonio Orighi per "la Stampa"
Juan Carlos affonda. Per la prima volta dal 1975, quando salì al trono per volere del dittatore Francisco Franco, che lo aveva nominato suo successore «a titolo di re», il monarca spagnolo, 74 anni, è criticato apertamente sui media. Non solo: stando a tre e-mail in possesso della magistratura, il genero Iñaki UrdangarÃn, sotto processo per essersi intascato 15 milioni di euro di denaro pubblico attraverso una Ong, rivela che il sovrano sarebbe coinvolto in uno dei suoi turpi affari.
Di più: la notissima scrittrice e giornalista Rosa Montero, ieri sull'ultima pagina del quotidiano più monarchico di Spagna e che l'ha sempre difeso a spada tratta, il filo-socialista El PaÃs, scrive perentoria: «Sì che possiamo cambiare questo Borbone. Se ne vada».
La goccia che, apparentemente, ha fatto traboccare il vaso è stata la battuta di caccia all'elefante in Botswana di giovedì scorso (costo: 30 mila euro a persona), durante la quale il re si è rotto l'anca destra. Gli spagnoli, massacrati dalla crisi e dalla disoccupazione (23,6%, la più alta d'Europa), l'hanno saputo solo due giorni dopo. Ed è cominciata la protesta.
«Un viaggio inopportuno e irresponsabile in una settimana di caduta della borsa, con lo spread che vola e con la società petrolifera spagnola Repsol nel mirino della nazionalizzazione da parte dell'Argentina - tuonava un editoriale del conservatore El Mundo-. Ancora echeggiano le parole del re a Natale : abbiamo bisogno di rigore, serietà ed esemplarità , io stesso ho il dovere di osservare un comportamento esemplare. E quelle di un mese fa: la disoccupazione giovanile (più del 50% ) mi toglie il sonno. Tutte considerazioni incompatibili con la caccia grossa, uno stile di vita dei milionari oziosi».
Una decapitazione in piena regola, in un Paese che negli ultimi 159 anni ha conosciuto due repubbliche e, dal 1931 al 1975, la dittatura del Caudillo. Già domenica il segretario socialista di Madrid, Tomás Gómez, ha chiesto al re di scegliere tra abdicare per dedicarsi ai piaceri o assolvere ai suoi compiti senza distrazioni, mentre si è registrato l'assordante silenzio del governo popolare, di centro-destra.
Tante critiche sono un fatto senza precedenti. Anche perchè finora la stampa, tranne poche e rare eccezioni, ha mantenuto quella che José MarÃa Abad, 69 anni, noto giornalista editore de «El Siglo» e scrittore progressista, autore del best-seller «La soledad del Rey», già nel 2004 parlava di «congiura del silenzio, un patto implicito di black-out dei media sul monarca».
La ragione? Il contributo fondamentale di Juan Carlos nella transizione democratica post-franchista. Certo, ogni tanto uscivano dei libri come quello di Jaime Peñafiel del 2008, «Juan Carlos y SofÃa, retrato de un matrimonio», in cui si spiattellavano le innumerevoli amanti del sovrano più donnaiolo d'Europa e i retroscena del matrimonio fallito con la regina SofÃa.
Oppure gli strani regali che il sovrano accettava, come quello dei 22 Paperoni che nel 1999 lo omaggiarono dello yacht Fortuna II, un panfilo di 41,8 metri che viaggiava a 100 km all'ora. Anche la sua avidità è oggetto di chiacchiere: con un patrimonio stimato da «Forbes» in 1,7 miliardi di euro, un appannaggio che nel 2012 è di 8,2 milioni e una collezione di 71 automobili, il re riceve anche royalities «per merchandising di dodici griffe». Ma erano parole messe in sordina in nome dei meriti sul campo. Sottolineava il Marchese di Villalonga, il biografo ufficiale del re: «Gli spagnoli non sono monarchici, sono juancarlisti. Il sovrano è il sostegno, la giustificazione e la ragione d'essere della monarchia».
Scrive ancora Abad: «Viviamo un momento di discredito del re, che non pensa affatto di abdicare. La congiura del silenzio è caduta per la caccia ma molto di più per lo scandalo UrdangarÃn. Anche perché il primo che ha commesso irregolarità nei business è stato il re».
Per esempio lo scandalo Kio, «quando il suo amministratore e ambasciatore personale, Manuel Prado, è stato condannato per aver ricevuto dal faccendiere Javier de la Rosa, a suo dire per premiare i servigi del monarca nella Guerra del Golfo, 100 milioni di dollari dalla multinazionale del Kuwait. Già allora i monarchici più fedeli gli avevano chiesto di abdicare». Con questi precedenti il re non può fare la morale al genero. E cadrà «quando perderà l'appoggio dei due principali partiti, socialisti e popolari».
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