DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"
L'ultima rilevazione della Banca d' Italia indica 726,8 miliardi di euro. Si tratta della fetta di debito pubblico italiano in mano a investitori esteri (circa il 30 per cento sul totale che ha superato, pochi giorni fa, quota 2.300 miliardi), che poi sono per lo più le grandi banche americane: da Goldman Sachs a Merrill Lynch, da JpMorgan a Citigroup. E proprio dalle parti dello zio Sam stanno tenendo sotto controllo - specie in questa fase - il nostro Paese.
Ciò perché, nonostante sia aumentata la percentuale di bot e btp comprati da Bankitalia nell' ambito delle operazoni monetarie dettate dalla Bce di Mario Draghi, gli stranieri restano tra i principali «azionisti» del debito della Penisola.
Di qui il monitoraggio costante del contesto italiano: non solo dal punto di vista strettamente economico, ma anche istituzionale. Del resto, quando in ballo ci sono titoli di Stato, è il quadro politico a condizionare maggiormente le scelte d' investimento.
Ragion per cui con l' avvicinarsi delle elezioni il livello di attenzione sale parecchio. Ecco perché negli ultimi giorni è aumentata la produzione di report da parte dei big finanziari internazionali. Una sorta di rincorsa, quella degli analisti, a individuare lo scenario più probabile che si registrerà dopo le elezioni (stando alle ultime indiscrezioni, le urne potrebbero essere aperte nella prima domenica di marzo).
Negli studi vengono passate al setaccio tutte le ipotesi: una maggioranza e un governo a guida Partito democratico; una coalizione (più o meno grande) fra lo stesso Pd e pezzi del centro destra, a cominciare da Forza Italia; un gabinetto a trazione Movimento 5 Stelle ed eventualmente con Luigi Di Maio premier, viste le candidature farloche, chiuse ieri, alla primarie sul blog di Beppe Grillo, che di fatto non disturberanno l' attuale vicepresidente della Camera.
Dicevamo dei report. Delle tante analisi che circolano fra gli addetti ai lavori, quella di Citigroup si distingue per una valutazione piuttosto originale. Una sorta di tifo per un Parlamento senza maggioranza. La frammentazione dei gruppi alla Camera e al Senato viene preferita sia a un esecutivo supportato da alleanze barcollanti sia alla prospettiva dell'ingresso di un Cinquestelle a palazzo Chigi.
Ecco uno dei passaggi chiave: «Dopo venti anni nella Seconda Repubblica, l' Italia è in bilico sul ritorno al sistema proporzionale della Prima Repubblica. Mentre gli italiani speravano in una "Liberazione 3.0", pensiamo che - rebus sic stantibus - il Paese potrebbe trarre maggior vantaggio da un parlamento paralizzato che non da governi a maggioranza debole come nel recente passato o dal ritorno a una legge elettorale che favorisca la nascita di coalizioni di governo». L' aspetto più controverso è il richiamo al 2011. Citigroup invoca le riforme avviate sotto la guida di Mario Monti presidente del consiglio. Secondo la major Usa, «se nessuno sta governando, nessuno può lamentarsi per l' introduzione di riforme impopolari e tasse.
GRILLO SALVINI RENZI BERLUSCONI
Quindi, un parlamento senza maggioranza - e un governo ad interim basato su una maggioranza fluida - potrebbe consentire all' Italia (e all' Europa) di completare un processo che istituzioni più deboli hanno iniziato nel 2011». Ma il solo ricordo di quell' anno (tasse e tagli dolorosi alla spesa per servizi pubblici) fa più paura, agli italiani, di qualsiasi maggioranza si formi nel 2018 in Parlamento.
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