DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Estratto dell'articolo di Filippo Ceccarelli per “la Repubblica”
Ecce Carra, ecce homo. Perché non si vorrebbe esagerare, né farla troppo complicata, però riguardandosi la foto di Enzo Carra trascinato con le catene ai polsi al Palazzo di Giustizia di Milano fra due ali di giornalisti, fotografi e telecamere, ecco, solo ora si capisce come in epoca post-moderna certe icone paiono destinate a sostituire le figure di un immaginario religioso che nella loro potenza simbolica, così come nella concretezza, non sono affatto lontane da un contesto religioso ravvivato dai tanti Cristi ritratti con le mani.
Enzo Carra, che ieri se n’è andato a 79 anni, era certamente un credente, ma siccome nel ricordo resta un uomo simpatico e spiritoso, ci avrebbe fatto su una risata. Eppure, nel ricordare quella sequenza di flash ha scritto: “In quel momento ho capito perfettamente di essere un simbolo; io ero la Dc trascinata in catene e processata”.
Era il marzo del 1993, poco prima che venisse giù tutto. Fu una passerella tanto orchestrata quanto avvilente. Ammutolito dai giornalisti che gli chiedevano se quegli arcaici schiavettoni gli facevano sanguinare i polsi, il portavoce del segretario della Dc Forlani fu trainato nella gabbia degli imputati. Quando in aula s’intensificò la bolgia, Di Pietro platealmente ebbe l’intuito di accompagnarlo in prima fila, vicino agli avvocati, ma l’immagine destinata a rimanere impressa restò per sempre quella di Carra ammanettato con un carabiniere a destra e uno a sinistra.
(…)
E davvero qui dispiace inchiodare Carra a quelle foto che sanno di vergogna e martirio. Anche perché da esse Enzo ebbe poi la fortuna di trarre sapienza e coraggio per rifarsi una vita (fu condannato non per corruzione ma per falsa testimonianza), pure come senatore della Margherita e imprescindibile conoscitore della Prima e della Seconda Repubblica. Ma come accade per i simboli, l’immaginario non fa sconti, nemmeno dopo la morte. Così vale ricordare che la scena delle manette suscitò le più contraddittorie emozioni: «Anche la Gestapo» disse Forlani; non moltissimi protestarono, fra cui Boato, Biondi, Anna Finocchiaro; Occhetto si disse turbato; il ministro della Giustizia Conso fu drastico: «È stata tradita la giustizia, l’episodio disonora il Paese».
Dei telegiornali il Tg1, il Tg3 e il Tg4 censurarono le immagini, il Tg2 coprì il volto e i ferri, il Tg5, ammiraglia Mediaset, fece vedere tutto. Ma “la gente” non dovette disapprovare gli schiavettoni ai polsi di Carra se, secondo un sondaggio, 63 milanesi su cento li giudicarono “una cosa giusta”. Tacquero, come chi acconsente, leghisti, missini e repubblicani. Fu in quell’occasione che il professor Miglio, padre putativo del modello presidenzial- federalista portato avanti dall’odierna maggioranza di governo, affermò: «Il linciaggio è la forma di giustizia nel senso più alto della parola». Da lassù, Enzo saprà compatirlo, o almeno speriamo.
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