DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Roberto Scafuri per “il Giornale”
San Sebastiano novello, Paolo Gentiloni riceve una freccia al dì. Incatenato al palo da un (ex) Capo Narciso che pensa solo per Sé (immaginando di poter contare per tre), il suo governo da fotocopia in pochi mesi s' è affievolito in velina, da transeunte a vapor acqueo. Però Gentiloni c' è, resiste, a modo suo governa e non è detto che, toccando il timone al minimo, la rotta non sia quella giusta. Di sicuro è l' unica possibile.
Anche perché man mano che si approssimano ariette elettorali - ieri la data per le Amministrative all' 11 giugno: quasi urne balneari, pur di far dimenticare i disastri del Pd -, l' esecutivo è ormai dichiaratamente «figlio di NN», come si diceva una volta dei poveretti di cui nessuno voleva prendersi la responsabilità. Primo dei quali è appunto Matteo Renzi, capace delle consuete mirabilie.
Se con una mano ha bloccato il cammino sulla legge elettorale alle sorti delle primarie pidine, ancorando la maggioranza alla decotta proposta del Mattarellum (ieri rigettato persino dall' avversario di corte, Andrea Orlando), l' ex segretario fa filtrare giorno per giorno i suoi voleri sui giornali: vorrebbe, per esempio una manovra espansiva in autunno che gli lanci la rincorsa elettorale. Minaccia perciò sottobanco urne a settembre, in concomitanza con il voto tedesco, se Gentiloni non si presterà al gioco. Ma poi chiede anche di rendere mite il primo aggiustamento dei conti che il governo deve fare entro il 10 aprile (altrimenti le sue primarie non saranno l' agognato trionfo, per non parlare delle Amministrative).
Dulcis in fundo, Matteo ha preso a parlare al posto e in vece di Paolo: per cui ieri segnalava che «Gentiloni è il primo a essere convinto che l' ipotesi di un aumento dell' Iva sia assurda e il Pd non lo consentirà mai»; che «i timidi segnali di ripresa economica vanno incoraggiati»; che «c' è moltissimo ancora da fare, in particolare sull' abbassamento delle tasse». Fosse un premier davvero votato al martirio, Gentiloni potrebbe ben ribattere che se siamo a questo punto «la colpa è di chi mi ha preceduto, che ha speso tutti i soldi in mancette elettorali». Ma ben se ne guarda.
Se Renzi scaglia la prima freccia, non è che gli altri «amici» di maggioranza se ne dispensino. Il popolare Angelino Alfano si è già smarcato nei giorni scorsi su voucher e chiedendo la testa del dg Rai Dall' Orto. Ieri ha ribadito che «Gentiloni lo sosteniamo, se non vira a sinistra». Dichiarazione uguale e speculare, alla rovescia, di quella del nume tutelare di Articolo Uno, Pier Luigi Bersani.
«Non sosteniamo il governo a ogni costo, Gentiloni deve cambiare la manovra». Non virare a destra, dunque, come Bersani in un' intervista alla Stampa paventa. Il Pd, racconta, sta sostenendo provvedimenti che riguardano farmaci ed energia, «mostrando di stare con l' establishment» e non con i cittadini. Poi dicono che la gente vota Grillo, lamenta Bersani, invitando Gentiloni ad apporre «correzioni equilibrate» alla manovrina (3,4 miliardi di euro, mica bruscolini).
Infine, l' invito a «dire la verità sull' economia agli italiani». Chi ci ha ridotto così, imbottendoci di frottole? Avanti, chi? San Sebastiano soffre in silenzio, sia lodato. Altrimenti, addio santi in paradiso.
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