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Maurizio Molinari per "la Stampa"
Trenta miliardi di scambi commerciali nei prossimi 12 mesi, un Consiglio di cooperazione ad alto livello e un confronto senza pregiudiziali sul futuro della Siria: è l'agenda con cui il premier turco Recep Tayyip Erdogan è sbarcato ieri a Teheran per una visita di 48 ore tesa ad aprire un nuovo capitolo nelle relazioni bilaterali, suscitando apprensione a Washington.
à il ministro degli Esteri di Ankara, Ahmet Davutoglu, a presentare la visita come un «importante sviluppo dei rapporti bilaterali» dopo l'elezione di Hassan Rohani alla presidenza iraniana e in effetti è stato proprio il plenipotenziario turco l'artefice delle trattative che nelle ultime settimane assieme alle collega iraniano Javad Zarif l'hanno resa possibile.
L'agenda della visita di Erdogan è assai diversa dall'ultima fatta a Teheran, nel 2012, perché in questo caso vedrà , oltre al presidente, anche il Leader Supremo Ali Khamenei e un importante gruppo di leader economici iraniani. A confermare le novità in arrivo sono le fonti diplomatiche che da Ankara anticipano un «rilancio dei rapporti» destinato a moltiplicare scambi e investimenti puntando ad un volume di 30 miliardi di dollari nel prossimo anno che potrebbe lievitare fino a 50 miliardi.
Da qui la preoccupata reazione di Washington che, con il vicesegretario al Tesoro David Cohen - uno dei registi della politica delle sanzioni - si affretta a precisare che «i provvedimenti sanzionatori votati dalla comunità internazionale restano in vigore e dunque non si può tornare a fare business con Teheran senza tenerne conto».
Anche il Dipartimento di Stato, con una nota scritta, ricorda ad Ankara il «regime di sanzioni in vigore» lasciando trapelare il timore di una corsa a Teheran anche da parte di Paesi alleati, come la Turchia di Erdogan. Per Jonathan Shanzer, ex analista del Dipartimento al Tesoro, «il giro di affari fra Turchia e Iran è destinato a crescere accrescendo nella regione l'impressione che l'Iran sia il nuovo posto dove si possono fare ottimi affari». In particolare Ankara è un tradizionale acquirente dell'energia iraniana mentre esporta beni commerciali di importanza strategica per le proprie manifatture.
Ma non è tutto perché nel carnet di Erdogan a Teheran c'è anche la crisi siriana. La recente conferenza di Montreux ha confermato che il regime di Bashar Assad considera Ankara l'alleato più importante dei ribelli, così come l'Iran resta il più solido partner di Damasco. Da qui l'ipotesi che Erdogan e Rohani possano discutere i recenti sviluppi diplomatici a Ginevra, tentando magari di contribuire a sciogliere alcuni dei nodi che continuano a ostacolare il dialogo fra la delegazione di Assad e quella dell'opposizione.
Fonti diplomatiche turche non hanno voluto né confermare né smentire l'esistenza di un capitolo siriano nell'agenda di Erdogan ma da Ginevra alcuni collaboratori del mediatore Onu, Lakdhar Brahimi, fanno presente che «il coinvolgimento di tutti gli attori regionali è importante nella composizione della crisi». E poiché Teheran non ha partecipato ai lavori di Montreux, potrebbe essere Ankara la scorciatoia per entrare nella partita di Ginevra.
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