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Andrea Malaguti per "La Stampa"
«Con la decisione di non concedere l'estradizione negli Stati Uniti, il ministro May ha salvato la vita al mio ragazzo». Il genio a intermittenza Gary McKinnon, un uomo di 46 anni con la sindrome di Asperger - una forma d'autismo con rallentamento dello sviluppo psicomotorio - adesso piange come una fontana. Fatica a respirare e abbraccia sua madre Janis Sharp. à confuso. Ha costretto il pensiero a una ginnastica troppo ardua per la sua mente. Perché mi volevano mandare negli Usa? Perché dicevano che rischiavo 60 anni di prigione? «Si considerava già morto», spiega Janis. Anche lei è in lacrime. Gary aveva cominciato a fumare. E per un po' ha lasciato perdere anche il computer. L'unica cosa che lo fa sentire veramente bene. L'origine di tutti i suoi mali.
Il suo cervello selettivo ha sempre dato il meglio di sé con la tastiera. Come quella volta, nel marzo del 2002, in cui ha navigato nell'impenetrabile sistema del governo americano. Che per lui non era impenetrabile affatto. Ha setacciato 93 computer. «Cercavo gli Ufo. La prova della loro esistenza». Gli pareva che non ci fosse niente di male. Voleva decriptare l'universo. Bello no? A Washington l'avevano presa male. Il Dipartimento della Difesa l'aveva accusato della più grave violazione di segreti militari nella storia a stelle e strisce del terzo millennio. Quindi aveva chiesto la sua estradizione.
Scotland Yard era andata a prendere Gary in camera sua e aveva cercato invano un barlume di luce negli occhi di quel genio diventato improvvisamente opaco. Era cominciata una battaglia eterna. Con gli avvocati della famiglia McKinnon a sostenere che Gary era malato e che pensare di stritolarlo nei meccanismi vendicativi di una giustizia cieca fosse crudeltà pura. La sua storia aveva fatto esplodere il dibattito sul trattato di estradizione firmato con gli Usa dopo il 2001.
Un tentativo di facilitare il passaggio dei terroristi da un Paese all'altro che si era risolto - secondo i militanti per i diritti civili - in un prolungato inchino di Londra nei confronti di Washington. «Processano uomini e donne che da noi non sono accusati di nulla. Perché rinunciamo alla nostra sovranità ?». I casi Tappin, Assange, Babar Ahmad e O'Dwyer (tutti cittadini britannici reclamati dall'altre parte dell'Oceano) avevano reso la tensione insopportabile, tanto che nel marzo scorso il primo ministro David Cameron aveva chiesto a Barack Obama di rivedere i termini dell'accordo.
Ieri la prima vittoria di chi ritiene quel trattato inaccettabile. Theresa May ha spiegato al Parlamento che la vita e i diritti umani di Gary McKinnon erano in pericolo. Che c'erano i certificati medici a dimostrarlo. E che ci avrebbero pensato i giudici inglesi a valutare le sue azioni. Washington ha fatto capire subito che avrebbe chiesto un intervento dell'Interpol e che Gary il genio-intermittente non avrebbe più potuto mettere piede fuori dal Regno Unito.
In un curioso ribaltamento dei ruoli anche il laburista Alan Johnson ha attaccato la May. «Gli Stati Uniti avevano tutti i diritti di chiedere l'estradizione». Ma ormai la scelta era fatta. Gary stava piangendo con le mani infilate tra i capelli folti, mentre Janis Sharp raccontava alla stampa quanto coraggio avesse avuto il ministro dell'Interno a smontare dopo dieci anni la ghigliottina della sua sofferenza.
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