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Marco Bardazzi per "La Stampa"
Nel parco della villa di Mike McCue, l'amministratore delegato del social network «Flipboard», giovedì sera c'erano tutti quelli che contano nella Silicon Valley. Avevano pagato dai 2.500 ai 12.500 dollari per un posto a tavola e la possibilità di stringere la mano all'ospite della serata: Barack Obama.
Il presidente, già nel pieno della bufera per le rivelazioni sulla raccolta segreta dei dati personali, non ha rinunciato alla cena per finanziare il partito Democratico. E il popolo della «valle» lo ha accolto con l'entusiasmo che da anni accompagna il rapporto tra Obama e i big del mondo digitale. Ma le polemiche di questi giorni rischiano di cambiare il clima.
La Casa Bianca sotto attacco da parte dei difensori della privacy, rappresenta anche un grosso imbarazzo per i protagonisti della Rete che considerano Obama uno di casa. Gli ex «ragazzi terribili» che oggi sono i titani della Silicon Valley - gente come Larry Page (Google), Mark Zuckerberg (Facebook) o Marissa Mayer (ex Google, ora alla guida di Yahoo!) - non possono permettersi di venire descritti come asserviti al Pentagono e alla sua agenzia d'intelligence Nsa.
Per questo si sono affrettati a reagire con indignazione alle ricostruzioni giornalistiche che li accusano di aver aperto all'amministrazione Obama delle «back doors», delle porte sul retro per accedere ai loro sistemi. «Non facciamo parte - ha detto Page - di alcun programma del governo che dia accesso diretto ai nostri server. Non c'è alcuna "back door". Mai sentito parlare di un programma chiamato Prism. Qualsiasi ipotesi che Google stia fornendo informazioni su larga scala sull'attività dei propri utenti, è completamente falsa».
Concetti analoghi li ha espressi Zuckerberg: «Voglio rispondere personalmente a queste notizie scandalose su Prism. Non abbiamo mai fatto parte di alcun programma che dia accesso diretto ai nostri server». Un messaggio postato ovviamente su Facebook, al quale gli utenti hanno risposto con 300mila «mi piace» in poche ore, ma anche con 50mila commenti spesso scettici sulle spiegazioni date dal fondatore del più popolare social network al mondo.
Il fatto che Page e Zuckerberg si siano esposti in prima persona, testimonia la preoccupazione della Silicon Valley. Non c'è solo il sospetto che i buoni rapporti con Obama abbiano fatto abbassare la guardia ai colossi digitali che custodiscono miliardi di informazioni sulle nostre vite. Ci sono anche dubbi che fanno vedere in una nuova luce le visite nella «valle» del capo degli Stati Maggiori del Pentagono, Martin Dempsey, che anche di recente ha incontrato i responsabili di Facebook, Microsoft, Google e Intel.
E poi ci sono le indiscrezioni raccolte a Palo Alto e dintorni dal «New York Times» su quale potrebbe essere il meccanismo di Prism. Le società digitali in effetti non avrebbero aperto alcuna «porta sul retro» per accedere ai loro server, ma avrebbero costruito una sorta di garage accanto alla casa, dove trasferire di volta in volta masse di dati richiesti dal governo con la procedura segreta del Fisa (Foreign Intelligence Surveillance Act). Le chiavi dei «garage» le ha il governo, che vi accede così senza dover entrare in casa di Google & C.
Una procedura che, se confermata, sarebbe sì «nel rispetto della legge» come sostengono le società coinvolte. Ma potrebbe creare danni d'immagine. A beneficiarne per ora è l'unico big della Rete che sembra essersi opposto con decisione alle richieste del governo: Twitter. Non a caso il sito Mashable, la «bibbia» dei social network, già inneggia a Twitter come il nuovo paladino della privacy globale.
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