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IL FASCISTA GENTILE CHE SI INVENTÒ LA DESTRA ITALIANA - ALESSANDRO GIULI SU ALMIRANTE: ''IL SUO CAPOLAVORO POLITICO L'HA COMPIUTO DA MORTO, IL 24 MAGGIO 1988, FACENDOSI FUNERALIZZARE A ROMA DALLA CREMA DELLA DEMOCRAZIA ANTIFASCISTA, A COMINCIARE DAI COMUNISTI IOTTI E PAJETTA, IN MEZZO A UNA FOLLA DI MISSINI COL BRACCIO TESO. LA LEGGENDA NARRA PERFINO DI UN CERTO BETTINO CRAXI IMPETTITO E COMMOSSO MENTRE VENIVA ACCLAMATO AL GRIDO DI "DUCE DUCE"...

IL MANIFESTO ELETTORALE DI GIORGIO ALMIRANTE

Alessandro Giuli per ''Libero Quotidiano''

 

 Il suo autentico capolavoro politico Giorgio Almirante l' ha compiuto da morto, il 24 maggio 1988, facendosi funeralizzare a Roma - assieme a Pino Romualdi - dalla crema della democrazia antifascista, a cominciare dai comunisti Nilde Iotti e Gian Carlo Pajetta, in mezzo a una folla di missini d' ogni età col braccio teso e gli occhi stravolti. La leggenda propalata dai superstiti narra perfino di un certo Bettino Craxi impettito e commosso mentre veniva acclamato dai più giovani militanti al grido di "duce duce".

 

Sono passati trent' anni, l' età di una generazione, e del leder più importante della destra post fascista conosciamo ormai tutto. Anche ciò che non avremmo voluto sapere di lui e che invece per decenni ha raccontato la vedova Assunta, la gran donna che gli allacciava le scarpe e gli sceglieva i vestiti.

 

giorgio almirante

Se Almirante oggi fosse vivo per un minuto soltanto, se potesse vedere quel che rimane del suo lascito politico, schiatterebbe all' istante di crepacuore o riderebbe fino a morirne.

Ma chi lo piangerebbe così come fu pianto allora, quando fu pianto dall' Italia intera?

 

Almirante era un fascista colto, puntiglioso e svampito, amante del teatro e razzista biologico in età acerba. Fu un oratore ineguagliabile per facondia e per resistenza fisica: nel 1970, con l' obiettivo di fare ostruzionismo parlamentare, tenne un discorso lungo dieci ore e si guadagnò la fama d' avere una vescica di acciaio cromato. Fu un capo gelosissimo del proprio popolo che vide soffrire, prosperare e morire anzitempo. Fu per natura elegante anche se vestito in modo sciatto, carismatico perfino nell' esercizio del nicciano pathos della distanza rispetto al mondo circostante.

Giorgio almirante con fini

 

IL DOPPIOPETTO

Non fu l' eroe che in molti avrebbero voluto disegnare a posteriori, non fu il dèmone maligno che ai giorni nostri scandalizza gli adolescenti appena iscritti all' Anpi e che mal tollerano giardinetti o viuzze a lui intitolati. Almirante fu molte cose, per lo più contraddittorie. Fu anzitutto un capo naturale germogliato nella Repubblica sociale italiana ma capacissimo di alternare a intermittenza le vesti da socialfascista e la grisaglia della destra più reazionaria.

 

A dispetto di quelli che ancora oggi identificano nel suo storico rivale Pino Rauti l' anima sinistra della destra estrema, Almirante in realtà fondò il Movimento sociale italiano (dicembre 1946) orgogliosamente accompagnato dai migliori camerati rossi dell' epoca: Ernesto Massi, Stanis Ruinas, Concetto Pettinato.

SALUTI ROMANI A GIORGIO ALMIRANTE

 

 Il suo percorso quarantennale è riassumibile in poche battute: fu un segretario equanime e scaltro, mediò fra le varie correnti di un partito nato nelle catacombe eppure ricchissimo d' istanze etiche e spiritualiste - da Giovanni Gentile a Julius Evola, definito da Almirante "il nostro Marcuse" - virò presto a destra verso i lidi monarchici e ultra conservatori, tornò a sinistra bordeggiando gli ultrà di Ordine nuovo, fece ritorno a destra e costrinse la sua creatura in un doppiopetto borghese che l' avrebbe reso celebre. Tutto ciò nello stesso partito, l' Msi, uno scrigno ricolmo di assurde incompatibilità, armonie degli opposti, generosità senza pari fra vecchi nostalgici e giovani martiri della follia omicida brigatista.

 

Giorgio Almirante e un giovanissimo Italo Bocchino

"Non rinnegare e non restaurare" il fascismo furono le sue parole d' ordine, e lo sono ancora per gruppi semi democratici o fascisti del terzo millennio come CasaPound. Perché Almirante ebbe la straordinaria intuizione d' insinuare che la democrazia fosse troppo importante per essere lasciata nelle mani dei democratici, avviluppata dalla claustrofobica nebbia dell' arco costituzionale costruito come una cortina sanitaria intorno al Movimento sociale.

 

Ecco le sue parole: «L' equivoco, cari camerati, è uno, e si chiama essere fascisti in democrazia. Noi soli siamo estranei, ed è un titolo d' onore, ma anche una spaventevole difficoltà per questa democrazia, per questa Italia del dopoguerra». Simpatico forse no, a pelle, algido e occhiazzurrato com' era Almirante; ma cortese sì, e d' una costumatezza altera che induceva al silenzio. Il ritratto perfetto di un parlamentare primonovecentesco, un assiduo gentiluomo inchiodato nella parte sbagliata della storia. Aveva uno stile, una forma inattuale, una prosa forbita anche laddove non riusciva superare la banalità del caso, sfiorando l' assertività del tribuno.

 

Come a tutti accade in politica, ebbe spesso a che fare con gente mediocre, cui riservava discorsi come questo: «Noi siamo l' alternativa globale al sistema, i ghibellini cattolici, il nazionalismo creativo, la nostalgia dell' avvenire».

 

IL DELFINO VANITOSO

FINI E ALMIRANTE

Oltre dieci anni fa, nel mio Passo delle oche (Einaudi), m' impadronii di questo virgolettato per alimentare un giudizio esageratamente spregiativo nei confronti di Almirante, rappresentato come un trasformista spregiudicato: un giorno rivoluzionario ai limiti dell' eversione, il giorno dopo convertito alla "doppia pena di morte"; eppoi terribilmente superficiale, un po' conformista, cinico e assai cisposo nello sguardo languido rivolto nel 1987 al suo successore designato, a quel Gianfranco Fini incoronato contro i numeri interni al partito, contro i consigli dei più avveduti, contro i presagi del cielo e le suppliche terragne di chi già ben conosceva Gianfranco

 

fini almirante large

Non avevo tutti i torti, in modo particolare su Fini, ma Almirante meritava comunque maggior stima e rispetto. E lo merita ancor più oggi, nella landa desertificata di una politica divenuta così noiosa e ineffettuale. Su una cosa, poi, Almirante aveva senz' altro ragione: occorreva un rettile come Fini per fare i conti con il fascismo, anche se poi Fini, nel 1995, quei conti li ha sbagliati per l' eccessiva fretta di ripulirsi e rivestirsi a festa.

nilde iotti

 

É nata così Alleanza nazionale, è nata dall' asineria algebrica di un delfino vanitoso e senza alcuna profondità d' animo. Almirante sognava di storicizzare il fascismo e liberare finalmente i neofascisti dalle tenebre di una tragedia immane. Fini lo ha accontentato a modo suo, seppellendo storia e memoria in una fossa comune, in fretta e furia, sotto la lapide del "male assoluto".

 

A dimostrazione che i postfascisti danno il meglio di sé in circostanze funeree, bisogna qui aggiungere in calce le parole di Bianca Berlinguer, figlia di Enrico: «Quando mio padre morì, Giorgio Almirante si mise in fila da solo, in silenzio, senza avvertire nessuno.

giancarlo pajetta napolitano berlinguer

 

 

Fini mi ha raccontato che lui non disse a nessuno dove voleva andare, dove sarebbe andato, si recò alla camera ardente e si mise in fila da solo, poi disse, sono venuto a rendere omaggio a un uomo da cui mi ha diviso tutto ma che ho sempre apprezzato e stimato». Era il 13 giugno del 1984. Dopo nemmeno un lustro i comunisti avrebbero reso la gentilezza alle spoglie del più importante fascista del secondo dopoguerra. Ma non va rimpianto, Almirante, è sufficiente disprezzare gli anni che non ha potuto vivere.

fini e almirante