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«Per il primo anno siamo fuori dall'emergenza e questa per il Paese è una notizia molto importante». Dagli Stati Uniti, Enrico Letta sottolinea ancora una volta con orgoglio il lavoro fatto dal governo sulla legge di stabilità . Con Barack Obama al fianco, al termine dell'incontro con il presidente americano alla Casa Bianca, il premier difende implicitamente la finanziaria: il livello dei tassi di interesse, il più basso dagli ultimi due anni, «dimostra che la strada è quella giusta», dice, replicando alle critiche piovute sul provvedimento.
L'obiettivo è continuare ad avere conti in ordine, ma allo stesso tempo «spingere per la crescita», spiega il premier, ricordando la riduzione delle tasse sul lavoro. Ma per tornare davvero a crescere serve l'aiuto dell'Europa. Ecco perché il semestre italiano di presidenza dell'Ue, promette Letta, segnerà il passaggio dalla «legislatura dell'austerità a quella della crescita».
A Roma, intanto, quasi per rispettare una curiosa nemesi americana, è il Partito democratico a non risparmiare al premier i grattacapi. Il fronte renziano infatti sceglie di rompere gli indugi per schierarsi, e non proprio in modo amichevole. Yoram Gutgeld, il guru economico di Matteo Renzi (che ieri nella sua "Enews" non ha fatto cenno alla manovra), ha bocciato la manovra definendola così «stabile, soffice ed equilibrata che praticamente è come se non fosse mai stata fatta, come se non esistesse». Un no senza appello: «Le intenzioni sono ottime, i titoli buoni, i numeri meno e le riforme forti non ci sono». Insomma, «il governo non ha avuto coraggio».
Sull'altro fronte, sempre rigorosamente dem, è Stefano Fassina a dare pensieri. Già dalla serata di ieri, infatti, era circolata la voce di un Fassina pronto alle dimissioni. Una indiscrezione non smentita. Il vice ministro all'Economia non sarebbe contento di alcune scelte del provvedimento, ma soprattutto avrebbe lamentato lo scarso coinvolgimento nel lavoro preparatorio della legge. A palazzo Chigi, si apprende, non sarebbe arrivata alcuna formalizzazione di dimissioni o altro. Mentre chi ha seguito le dinamiche della manovra invita a guardare più in via XX settembre, e ai rapporti con Saccomanni, per trovare le origini del caso Fassina.
Della posizione del vice ministro all'Economia ha parlato anche Guglielmo Epifani: la protesta «non credo che sia a causa di questa legge di stabilità . Fassina lamenta la mancanza di collegialità . Credo abbia ragione». Il vice ministro, quindi, a questo punto attenderebbe il rientro di Letta dagli Stati Uniti per un chiarimento diretto con il premier.
Comunque il punto è che nel Pd già scricchiola l'argine della formula di mediazione individuata ieri da Epifani: «Manovra da apprezzare ma va migliorata». Un problema in più per Letta, già alle prese con le turbolenze fisiologiche delle larghe intese. Oggi è stato Pierluigi Bersani a difendere la legge di stabilità : «Trovo alcuni giudizi ingenerosi», ha detto l'ex segretario senza mancare di evidenziare alcuni passaggi non proprio soddisfacenti del provvedimento («per amor di Dio, ci saranno cose da correggere») ma difendendo il premier: «Ci sono dei limiti che sono della situazione politica, non di Enrico Letta». Ma dopo una primissima fase soft, il fronte dem sembra offrire sempre più materia difficile da gestire per Letta.
Se già ieri Gianni Cuperlo aveva sottolineato la necessità di «individuare altre risorse che permettano al mondo del lavoro di reggere all'urto della crisi», oggi l'altro candidato alla segreteria Gianni Pittella è ancora più deciso: «à una legge "camomilla" che produrrà effetti per 8 euro nel 38% delle famiglie italiane, quindi veramente una cosa inutile». Ancora una volta, la trasferta americana non è stata priva di intoppi per Letta.
Stefano Fassina e Matteo Orfini
STEFANO FASSINA jpeg
saccomanni, alfano e letta
Pierluigi Bersani
Guglielmo Epifani
IL SALUTO TRA RENZI E BERSANI
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