DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Filippo Ceccarelli per “Robinson – la Repubblica” – 12 settembre 2020
Ebbene, che Roma trovarono i poveri "anticristi" piemontesi? Come a smentire l'anatema che i papalini gli scagliavano addosso, poche ore dopo la breccia di Porta Pia, Edmondo De Amicis, inviato al seguito delle truppe di Cadorna, incontrò alcuni soldati ritrovatisi in ginocchio attorno all'altar maggiore di San Pietro.
Con sorvegliata meraviglia un bersagliere monferrino dovette riconoscere: «A j'è nen a dije: a l'è un bel travaj!». Più caldo un artigliere lombardo: «Madona! Alter ch'el domm de Milan!». Solo un cavalleggero di Lodi, una volta usciti, ebbe a che ridire sulla facciata della basilica: «Gonfia».
Fra sorpresa e ingenuità, vai a sapere se il futuro autore di Cuore si rese conto che il XX settembre metteva fine al potere temporale senza nulla togliere alla religione e al Cristianesimo. Ultimo baluardo contro la modernità, il liberalismo e la democrazia, quella Roma che assomigliava a un pezzettino di Medioevo era in realtà un miserevole immondezzaio denso di grandiose memorie, «vestigia di una magnificenza e di uno sfacelo che superavano, l'una e l'altro, la nostra immaginazione» (Goethe), e per giunta investito di una missione universale tanto rarefatta quanto ammantata di retorica.
Con il che l'Urbe, pure a entrarci a passo di corsa e con le piume sul cappello, appariva piena di pozzanghere perché non c'era sistema di raccolta delle acque piovane e dappertutto ricolma di rifiuti, con il che irresistibilmente puzzava, pare di grasso e broccoli, anche perché tutti cucinavano all'aria aperta.
Città urbanisticamente assurda e senz'ordine, attraversata da greggi e mandrie di bufali che risalivano il Tevere, ma solare e perfino ridente pur con tutti i suoi ruderi che giganteggiavano fra orti e palazzi: uno spettacolo di rovina unico al mondo, un immenso cimitero brulicante di vita che qualche anno prima aveva fatto dire a Chateaubriand: «E bella Roma per dimenticare tutto, disprezzare tutto, e morire».
Pio IX, il segretario di Stato Antonelli e il cardinale de Merode -1862
Nel frattempo va pure detto che le donne romane erano rinomate per la loro bellezza e sensualità, mentre fieri e disincantati apparivano gli uomini, fra i quali si distinguevano parecchi bulli, di cui si trova traccia nel monumento alla plebe di Giuseppe Gioachino Belli come del resto nelle odierne story di Instagram.
Ma soprattutto, a colpo d'occhio, colpiva a Roma il numero degli straccioni e dei mendicanti, alcuni addormentati sotto antichi archi, colonnati, portoni e pianerottoli. E di nuovo c'è da mettersi nei panni dei pretesi "anticristi" e "buzzurri" ", come pure erano denominati gli occupanti della Città Eterna, come tutti i loro predecessori destinati ad acchiapparne i peggiori vizi.
E a maggior gloria degli equivoci risorgimentali, vale ricordare che per tanti patrioti Roma era il nome della donna da troppo tempo vagheggiata: «Piegate il ginocchio e adorate questo è Mazzini - là batte il core d'Italia».
Sennonché, a proposito di sentimenti, la città era anche capitale dei trovatelli, i "proietti", in gran copia esposti alla ruota senza troppo preoccuparsi che poco meno della metà crepava. Il governo pontificio non era un modello di illuminata filantropia. E vero che dei 226 mila abitanti, il cinque per cento costituito da religiosi, circa un terzo viveva di sussidi, elargizioni benefiche ed elemosine; ed è vero pure che l'arcaica e paternalistica macchina amministrativa si preoccupava di mantenere una certa "pace alimentare" garantendo farina e carne sufficienti a impedire rivolte.
Ma l'ordine sociale oltre ad escludere qualsiasi forma di potere civico e di cariche elettive, era fondato sull'autorità dei parroci, per i quali il mancato adempimento del precetto pasquale era sufficiente motivo di scomunica, a parte lo scarso valore da essi assegnato al" istruzione e alla cultura: «Li libbri num so robba da cristiani,/ fiji pe' carità nun li leggete!» (BelIi).
Se non bastasse, il Concilio Vaticano I aveva appena proclamato il dogma dell'infallibilità papale, Non solo, ma l’andazzo politicamente retrivo aveva chiamato a Roma, soprattutto dall'ex Regno delle Due Sicilie, una certa quantità di esuli reazionari che si sentivano protetti in quell'estremo lembo di ancien régime. Contro ogni tentazione di modernità l'ascensore sociale appariva legato al mondo ecclesiastico con le sue diramazioni nepotistiche.
Inutile dire che la religiosità era esteriorizzata, quando non oppressiva, anche se per la verità il voto di povertà ecclesiastico trovava attenuazioni e il celibato accomodamenti più o meno a tutti i livelli. Gli ebrei del Ghetto erano al tempo stesso utilizzati, dileggiati o peggio: nel 1864 l'undicenne Fortunato Con fu sottratto ai parenti e sottoposto a battesimo forzato.
Una volta l'anno, a Carnevale, la plebe si scatenava rovesciando gerarchie e ruoli e generando per le vie di Roma un caos che è poco definire selvaggio. Le strutture produttive erano poche e quasi primitive: concerie, mulini, frantoi, qualche filanda e saponificio. Modesto il livello degli studi, se si esclude il campo dell'archeologia e dell'antiquaria. Da poco erano partite le ferrovie, con partenza e destinazione Termini, ma i capitali erano per lo più esteri o in mano a parenti di cardinali e monsignori.
Per non saper né leggere né scrivere uno di loro, il belga De Merode, aveva fatto incetta di terreni con l'idea di aprire a Roma enormi viali sul modello parigino di Haussmann; ma al dunque prevalse l'intento speculativo - a suo discapito occorre dire che De Merode non fu né il primo né, quel che è peggio, l'ultimo autore dei tanti sacchi di Roma.
All'ombra del potere temporale si era formato un ceto urbano, per quanto lessicalmente identificato come quello dei "mercanti di campagna". Giosuè Carducci, che non aveva troppi peli sulla lingua, designò questa gente: «Una borghesia d'affittacamere, di coronari, di antiquari che vende di tutto, coscienza, santità, erudizione, reliquie false di martiri, false reliquie di Scipioni, e donne vere».
Secondo il Vate, anche i monsignori e gli abati, ciascun ordine «con mantelline e fogge di ogni colore», comprava e vendeva di tutto facendosi beffe "di tutti". Completava il quadretto un'aristocrazia "di guardaportoni".
Diversi nobili romani, in effetti, reagirono al gesto di forza piemontese contro il "loro" Papa serrandosi all'interno dei palazzi in segno di lutto e riprovazione. Nel complesso 11 famiglie di antico lignaggio possedevano il 40 per cento del territorio del comune, e altre 14 si dividevano un ulteriore 10 per cento. Andavano a caccia e "magnaveno".
papa pio ixgiuseppe gioacchino belli
Per tutti gli altri i piaceri leciti erano abbastanza limitati: il passeggio, le capanne a Ripetta, il bagno al fiume, i limonari nelle piazze, le sempiterne osterie con il vino gessoso dei Castelli. Ai "fedeloni" erano messe a disposizione tante funzioni e cerimonie religiose quante ne poteva allestire un regime a suo modo attento agli spettacoli - «ch'a sto paese, già tutto er busilli - così il solito Belli - sta in ner vive a lo scrocco e fa' orazzione». Come spesso accade in un luogo di troppo lontane memorie, a partire dal XXI settembre 1870 tutto accadde senza che nulla, più o meno, cambiasse.
«La violenta rivoluzione della città - ha lasciato scritto il grande storico tedesco e luterano Ferdinando Gregorovius - mi appare come la metamorfosi fatta da un giocoliere. Cento cattivi giornali sono cresciuti come funghi e sono strillati in tutte le strade. Un'invasione di venditori e ciarlatani invade le piazze... Roma ha perduto il suo incanto».
Tre mesi dopo la breccia, il 28 dicembre, il Tevere crebbe di 17 metri, ruppe i fragili argini e sommerse tragicamente un bel pezzo di città. Alcuni degli sconfitti, freschi nostalgici dello Stato pontificio, l'attribuirono a una punizione divina. Altri si adattarono.
In un'epistola scritta in latino maccheronico da un frate a una sua amica, e scovata in occasione del centenario da Vittorio Gorresio per il suo Roma ieri e oggi (Rizzoli, 1970), si potè leggere: «Vita nostra Romae, inter nos sit dictum, non est malaccia, Per principium et officium nos strillamus, sed francamente parlando vivetur sufficienter bene cum hoc gubernio usurpatore». Amen.
ChateaubriandFrancesco Saverio de MerodeRoma, breccia di Porta Pia
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