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Vittorio Feltri per "il Giornale"
Insensato il fiume d'indignazione che inon¬da i giornali per le dimissioni di Mario Monti propiziate dal Pdl. La legislatura ormai era conclusa: settimana più, settimana me¬no, non cambia nulla. Vorrà dire che le elezioni, anziché il 10 marzo 2013, si svolgeranno in feb¬braio. Non è una tragedia. Tanto più che le leggi di stabilità e di bilancio passeranno regolarmen¬te. Quindi, dov'è il problema?
Se i mercati faranno le bizze, sarà solo perché è venuto meno il loro garante, l'uomo del quale si fidano, colui che ha salvato il sistema (che ha nel¬le banche il proprio braccio armato) a scapito del Paese, dei ceti medi e di quelli bassi, impoveriti dalle tasse più salate del mondo e dalla disoccu¬pazione crescente. Ciò detto, è utile ricordare che la grana dello spread è stata sciolta da Mario Draghi, non dal nostro governo.
I tecnici, transeunti per definizione, si sono li¬mitati a usare il randello fiscale. Pensioni a parte, non hanno sfornato una sola riforma sostanzia¬le: quella del lavoro è un pasticcio, nessuna libe¬ralizzazione, nessun provvedimento in favore dell'agognata (e illuso¬ria) ripresa, zero tagli alla spesa pub¬blica, nonostante le roboanti pro¬messe di spending review. E allora, peggio per peggio,cos'hanno da te¬mere gli italiani dall'uscita dei professori? Forse il risultato elettorale. Se vincesse Pier Luigi Bersani, sa¬rebbe una sciagura.
Se si esclude la breve parentesi di Massimo D'Alema,succeduto a Ro¬mano Prodi grazie al famigerato ri¬baltino sotto l'egida di Oscar Luigi Scalfaro, sarebbe il primo ex comu¬nista a Palazzo Chigi. Già questo fa venire i brividi. Se si aggiunge che ci andrebbe sostenuto dal Sel di Ni¬chi Vendola e dai centrini scentrati di Pier Ferdinando Casini, e che la sua politica sarebbe fortemente condizionata dalla Cgil, di cui cono¬sciamo l'arretratezza culturale, non c'è da scommettere un centesi¬mo sulla sua l¬unga permanenza al¬la presidenza del Consiglio.
L'espe¬rienza insegna che maggioranze di sinistra del tipo descritto non dura¬no: Prodi ha provato due volte a ge¬stire simili ammucchiate e ha falli¬to nel giro di un anno e mezzo, due al massimo, in tempi peraltro assai più tranquilli del presente.
A parità di imbarcazioni, non si capisce perché Bersani possa com¬piere l'impresa di navigare in ac¬que politiche dove Prodi è naufra¬gato. Il nostro non è un augurio di colare a picco, per carità , è solo un mero calcolo di probabilità .
Vi im¬maginate il segretario del Pd, tirato per la giacchetta a sinistra da Ven¬dola e da Susanna Camusso, e a de¬stra da Casini e da Fini, costretto a decidere se introdurre o no la patri¬moniale? Oppure se effettuare un prelievo forzoso, come fece Giulia¬no Amato all'inizio degli anni No¬vanta, sui conti correnti di tutti i cit¬tadini con due o dieci soldi depositati in banca?
Con quale faccia Luca Cordero di Montezemolo e i suoi amici dareb¬bero il benestare a rapine del gene¬re? E la gente come reagirebbe? Ve lo figurate Bersani che sburocratiz¬za gli apparati statali, che riordina la sanità e la scuola, che riduce ai minimi termini gli sprechi della ca¬sta?
Un ex comunista che tradisce lo statalismo dopo averlo ingrassa¬to per lustri non è ancora nato. Il no¬stro Paese ha bisogno di una robu¬sta terapia liberale. à in grado Ber¬sani di predisporla andando con¬tro le aspettative del proprio eletto¬rato? Un conto è vincere le prima¬rie col trucco, un altro è governare con un occhio al bilancio (e al debi¬to pubblico) e l'altro alla piazza già abbastanza in subbuglio.
Date le premesse, perché stupir¬si se Silvio Berlusconi, fiutata l'aria, ha optato per un rientro nell'agone politico? D'accordo, il suo partito è uscito malconcio da un periodo travagliato; ha avuto sbandamenti ver¬tiginosi; molti dirigenti hanno per¬so la trebisonda; l'esperimento An¬gelino Alfano non ha avuto l'esito sperato; alcuni hanno meditato di trovare riparo altrove; le primarie, prima annunciate e poi negate, hanno creato sconcerto e imbaraz¬zo. Si è avuta l'impressione che il centrodestra fosse spacciato.
Ma gli accadimenti degli ultimi giorni hanno restituito al Pdl l'orgoglio ne¬cessario a rimettersi in sesto. à bastato che il Cavaliere, accan¬tonato ogni tentennamento, si convincesse che tutto sommato la parti¬ta fosse ancora aperta, altro che gio¬chi già chiusi. Ignoro quale sia sta¬to l'elemento che lo abbia portato a ricredersi sulle potenzialità del Pdl. à un fatto che nel momento stesso in cui egli ha dichiarato l'in¬tenzione di riappalesarsi, gli scena¬ri sono mutati. All'improvviso i suoi accoliti si sono ricompattati, persuasi che l'uomo abbia l'ener¬gia e la volontà per tentare la rimon¬ta: fine delle beghe, delle rivalse, della sfiducia.
Conviene battersi perché i pro¬gressisti sono meno solidi di quan¬to sembrasse, anzi, sono vulnerabi¬li, vecchi, stremati: per dare la scos¬sa al-Pdl è sufficiente la constatazio¬ne che Bersani è stato due volte mi¬nistro dell'Industria senza combi¬nare nulla. Se ce la fa lui a stare in sella, anche i berluscones possono rimontare a cavallo. In fondo, i voti del centrodestra sono ancora lì a di¬sposizione, in riserva.
Se Berlusco¬ni è pronto ad affrontare la campa¬gna elettorale con lo stesso vigore del 2006, se si impegna a rinnovare il partito, escludendo i pesi morti e gli impresentabili, a stilare un pro¬gramma concreto (non libri dei so¬gni), e a dire con quali risorse è rea¬lizzabile, ecco, la competizione elettorale è destinata a riservare sorprese.
L'Italia, da quando è unita e ha ot¬tenuto il suffragio universale, ha sempre avuto due anime; e quella rossa non ha mai prevalso se non per effetto di strane alchimie partiti¬che. Il centrodestra conserva tutti i propri supporter: si tratta di persua¬derli che esso vanta di nuovo una leadership, e il loro consenso non tarderà a ritornare nella sede natu¬rale. Qualcuno, nel Pdl, ha mugu¬gnato perché puntava su un altro capo, più fresco; ma un altro capo non c'è e se ci fosse stato sarebbe emerso. Merita andare sul sicuro. Se Ber¬lusconi si danna l'anima benché apparentemente parta battuto, ha le chances per rompere le uova a chi si accinga a servirci una cattiva frittata.
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