DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Vittorio Feltri per Libero Quotidiano
Sergio Mattarella ha dichiarato di essere stanco, non avendo più l'età di un ragazzo, e pensa di andarsene presto dal Quirinale. Alla scadenza del suo mandato settennale mancano circa otto mesi ed è normale che egli ambisca a un futuro meno tribolato del presente.
Comprendiamo il suo stato d'animo. Non è dunque vero che egli punti alla sua rielezione al vertice della Repubblica, trovando comoda la poltrona che attualmente occupa. Oggi fare il capo dello Stato è troppo faticoso specialmente per un uomo che ha superato la settantina e si trova ogni dì ad affrontare problemi nazionali gravi e complicati. Normale quindi che Mattarella ne abbia le scatole piene e aspiri a una esistenza meno tribolata. È preferibile lo scranno di senatore a vita rispetto a quello di garante della Costituzione che scade come una mozzarella. Mattarella ha dovuto gestire crisi di governo complesse e non certo ricche di sbocchi.
Ha risolto l'uscita di Conte con l'ingresso di Draghi, soluzione che si sta rivelando azzeccata. Ma non è stato facile per lui individuare il bandolo della matassa. Fatale che oggi sia esausto e desideri mettersi in un cantuccio dove riposare in santa pace. Noi stessi lo abbiamo punzecchiato in un recente passato per la questione magistratura, al centro di reiterati scandali provocati non soltanto dalle confessioni di Palamara, ma anche dal comportamento discutibile di varie toghe. Indubbiamente ci saremmo attesi dal Presidente un atteggiamento più severo nei confronti di pm e giudici, tuttavia rispettiamo la sua prudenza, visto che l'Ordine giudiziario è in un tale bailamme davanti al quale Mattarella preferisce astenersi dal metterci becco, aspettando tempi migliori. A parte le ingarbugliate questioni del Colle, dobbiamo affrontare la riluttanza di tanti politici davanti alle candidature amministrative.
draghi mattarella renzi partita di poker
Nessuno ha più voglia di presentarsi alle elezioni per occupare il posto di sindaco nelle grandi e piccole città. Citiamo due casi importanti, quelli di Milano e di Roma. Nel primo, il centrodestra aveva puntato su Gabriele Albertini, già stato eccellente primo cittadino meneghino, però questi, dopo aver tentennato per alcune settimane davanti alle offerte di Salvini, ha rinunciato all'eventuale incarico adducendo varie motivazioni, di cui discuteremo più avanti. Nel secondo, si faceva con insistenza il nome di Guido Bertolaso, altro fuoriclasse che sarebbe in grado di rimettere in piedi la città eterna. Con lui una sera a cena ho colloquiato e ho intuito che piuttosto di salire al Campidoglio si sparerebbe un colpo alla tempia. Non intendo svelarvi le ragioni dei due gran rifiuti. Eppure posso dire quali siano i miei sospetti.
Anzi, l'unico sospetto valido, a mio modesto giudizio. La paga di un sindaco metropolitano ammonta a 3.800 euro al mese, una miseria che può solamente ingolosire un grillino in brache di tela. Quindi, amici miei, è scontato che signori quali Albertini e Bertolaso stiano lontani da Palazzo Marino e dal Campidoglio. Io stesso, che non conto un cavolo, non accetterei mai un emolumento tanto scarso per fare il sindaco con il rischio di ricevere immediatamente un paio di avvisi di garanzia. A questo punto posso dare un unico consiglio alla politica. O sganciate stipendi adeguati oppure al vertice dei municipi avrete sempre straccioni buoni a nulla e capaci di tutto.
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