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1. IMBOSCATO DI PROFESSIONE
Vittorio Feltri per "il Giornale"
E così Antonio Ingroia, il supermagistrato supertrombato alle elezioni politiche del febbraio scorso, ha deciso: non si trasferirà ad Aosta per occuparsi di casi marginali (dal punto di vista geografico, quantomeno) e non andrà a lavorare in nessun'altra Procura della Repubblica.
Semplicemente cambia mestiere. Farà l'avvocato? Nossignori. Assecondando la propria vocazione tardiva, si ributta in politica, proprio il settore da cui ha recentemente ricevuto una netta quanto imprevista bocciatura. Insiste. Qualcuno penserà che egli sia un testone, altri un uomo di carattere destinato a sfondare. Chi vivrà vedrà .
Una cosa è certa: Ingroia solo sei mesi fa era convinto di essere un astro nascente pronto per brillare nella costellazione degli onorevoli, e si lanciò nel firmamento elettorale senza valutare appieno le difficoltà cui sarebbe andato incontro. L'ottimismo probabilmente era alimentato dalla buona stampa di cui godeva. La sua immagine (reputazione) di Pm inflessibile ed esperto nel ramo mafia, d'altronde, era garanzia di successo, e anche le televisioni non disdegnavano di invitarlo nella speranza di fare audience.
Ma l'impatto di Ingroia con i mezzi di comunicazione di massa non fu entusiasmante. L'aspirante leader faticava a bucare il video, come si dice. Gli mancavano l'eloquio adatto per tenere sveglio il pubblico e la capacità di imporsi sugli interlocutori con argomenti originali, poco aiutato anche dalla voce, efficace succedaneo del Tavor. Se non fosse stato per Maurizio Crozza, il magistrato più noioso e meno votato d'Italia sarebbe passato inosservato: l'imitazione che ne faceva il comico era imperdibile.
Ma queste sono inezie a confronto con le iniziative propagandistiche assunte dall'ormai ex Pm, la più nefasta delle quali è stata la denominazione del partito: Rivoluzione civile. Un simbolo peggiore non esiste nella storia democratica nazionale. Già la parola «rivoluzione» mette in fuga il 90 per cento degli italiani, notoriamente pantofolai, pigri e timorosi di qualsiasi stravolgimento. L'aggettivo «civile», poi, non contribuisce a rendere più raccomandabile il sovvertimento dell'ordine costituito. Sarebbe come addolcire la pena di morte con 20 gocce di Valium. Aiuta a rendere il decesso meno traumatico, ma non lo evita.
Questo però Ingroia adesso pare lo abbia capito. In effetti ha cambiato qualcosa. Nel nome del suo movimento ha sostituito il sostantivo Rivoluzione con Azione, che ha un significato meno spaventevole. Tuttavia è rimasto l'attributo «civile», e non mi pare azzeccato: non per via della semantica, ma per il fatto che Scelta civica di Mario Monti è stata un fiasco istruttivo. Anche solo per scaramanzia, nei panni di Ingroia ci impegneremmo a trovare dizioni più fortunate.
Quanto poi alla fusione di Rivoluzione civile con l'Italia dei valori, non si può affermare che sia stata un'idea geniale: i due partiti, una volta sposati, si sono vicendevolmente azzerati. I matrimoni, compresi quelli appunto civili, sono insidiosi.
Mi auguro che il magistrato dimissionario non se la prenda per queste nostre considerazioni. Dobbiamo segnalare, per equità di giudizio, che l'esperienza gli deve aver insegnato molto. Per esempio ha capito che in politica non bisogna chiudere le porte a possibili alleati. A differenza che in un recente passato, ora è pronto a trattare sia con il Pd, orfano di Pier Luigi Bersani, sia con il M5S di Beppe (Grillo) il furioso.
Insomma Ingroia, privato della toga e dello stipendio, sta diventando accomodante. Ancora un piccolo sforzo e sarà in grado di entrare a pieno titolo nella Casta dei politici senza rimpiangere quella dei giudici. Una sola domanda gli rivolgiamo rispettosamente: ma nel frattempo di che campa?
2. IL TARTUFO SUPERIORE
Marco Travaglio per "Il Fatto Quotidiano"
Brindisi, festeggiamenti, carnevali di Rio, hip-hip-hurrà : Antonio Ingroia lascia la magistratura. Fuori un altro pm bravo, un rompipalle in meno. Metti che, dopo Dell'Utri, Contrada e centinaia di mafiosi, facesse condannare qualcun altro disturbando le larghe intese con processi divisivi. A onore di Cosa Nostra, va detto che l'esultanza dei picciotti è stata molto più contenuta di quella di certi magistrati e del Csm. "Ingroia lascia la politica? Ce ne faremo una ragione", ha commentato entusiasta Michele Vietti, per anni compagno di partito di Totò Cuffaro, dunque vicepresidente del fu autogoverno dei giudici.
Incontenibile il giubilo di Vittorio Borraccetti, celebre per inchieste trionfali tipo Unabomber, dunque leader di Magistratura democratica e membro del Csm: "Ingroia ha danneggiato la magistratura e la credibilità di quello che ha fatto prima" e le sue accuse al Csm di averlo messo sotto tiro per le sue indagini è "inaccettabile: nessuno l'ha punito né ha ostacolato l'indagine sulla trattativa". A parte il Colle, il Pg della Cassazione, il Csm e l'Anm, s'intende. Molto felice anche il segretario dell'Anm, Rodolfo Sabelli: se il Csm ha spedito Ingroia ad Aosta non è "una ritorsione, ma solo l'applicazione della normativa vigente".
Ecco, vediamola questa normativa. Un magistrato può candidarsi dove vuole, ma non è eleggibile dove ha esercitato le funzioni. Ingroia, leader nazionale di Rivoluzione civile, si candida in tutta Italia fuorché in Val d'Aosta, ma sa di essere ineleggibile a Palermo dov'è stato pm fino a tre mesi prima. Poi non viene eletto da nessuna parte e rientra dall'aspettativa.
Il Csm lo destina ad Aosta, unico circondario giudiziario dove non era candidato. Ma, per farlo, infrange la sua circolare del settembre 2012 che vieta il rientro ai magistrati non nel circondario, ma nel distretto giudiziario do-v'erano candidati: e Ingroia era candidato anche in Piemonte, cioè nel distretto di cui fa parte Aosta. Dunque, stando alla circolare, non può andare neppure ad Aosta.
Ingroia suggerisce una soluzione più consona alla sua competenza che, per giunta, non viola alcuna regola: c'è un posto libero alla Direzione nazionale antimafia (Dna), mandatemi lì. Il precedente di Piero Grasso parla chiaro: Grasso s'è candidato a Roma come capolista Pd al Senato, sebbene fino al giorno prima esercitasse le funzioni a Roma come capo della Dna: sarebbe ineleggibile, ma il Csm gli consente di essere eletto perché la Dna ha sì sede nella Capitale, ma è extraterritoriale (nazionale) senza compiti investigativi: si limita a coordinare le indagini dei vari pool.
Il principio dovrebbe valere per tutti, anche per Ingroia. Invece no: per il Csm la Dna è extraterritoriale per Grasso, ma non per Ingroia che, essendosi candidato a Roma, non può andare alla Dna. La legge è uguale per quasi tutti. Sempre a proposito di "applicazione della normativa vigente", c'è il caso - già segnalato da Tinti - di due collaboratori della ministra della Giustizia Cancellieri: Domenico Carcano, capo dell'Ufficio legislativo, e Renato Finocchi Gersi, capo di gabinetto.
Sono due toghe di Md, fuori ruolo rispettivamente da 15 e da 13 anni (il primo alla segreteria e all'ufficio studi del Csm, il secondo alla Consulta e poi al ministero della Salute). In base a una circolare varata a marzo dal Csm, nessuna toga può restare fuori ruolo per più di 10 anni, né aggirare il divieto mettendosi in aspettativa.
Dunque i due, in base alla "normativa vigente", non potrebbero lavorare al ministero: dovrebbero tornare a fare i giudici. Ma il Csm viola un'altra volta le regole che s'è dato e li autorizza a mettersi in aspettativa con deroga ad personas (votata anche da Borraccetti).
Così, i due avranno lo stipendio dei dirigenti apicali dello Stato, 240 mila euro lordi l'anno, molto più di quello che guadagnerebbero da fuori-ruolo. Al Tartufo Superiore, le regole per gli amici si interpretano e per gli Ingroia si applicano. Anzi, si infrangono.
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