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1. LE FIRME FALSE DIMOSTRANO CHE I GRILLINI NON SONO COME GLI ALTRI, SONO PIÙ FESSI
Franco Bechis per ‘Libero Quotidiano’
Poco prima dell' estate un attivista palermitano del Movimento 5 Stelle che molto si era battuto per la legalità in una delle città più difficili, aveva bussato alla porta di Giancarlo Cancelleri, capogruppo del M5s in Regione Sicilia. «Giancarlo, ho raccolto voci in città», gli confidò l' attivista che a lui si stava rivolgendo perché sapeva che Cancelleri era il siciliano più vicino a Luigi Di Maio, «voci che stia per scoppiare una bomba giudiziaria sul movimento. Parlano di una inchiesta sulle firme per la presentazione delle candidature al comune di Palermo nel 2012. Firme che pare siano false...».
Il capogruppo regionale lo fermò bruscamente: «Basta con queste falsità. Sono balle, messe in giro per vendetta da qualcuno uscito dal movimento. In-ven-ta-te, in-ven-ta-te, capito? Nessun falso, nessuna inchiesta...». Il militante che a quella bandiera della legalità non voleva rinunciare e che era convinto di avere buone informazioni su quella "bomba giudiziaria", accettò poco convinto la spiegazione data. Ma quando vide il servizio in tv delle Iene con la confessione di un altro militante, il professore Vincenzo Pintagro, tornò furioso da Cancelleri: «Allora mi avevi preso per i fondelli! Sapevi tutto...».
Il capogruppo fece un passo indietro: «No, ti giuro. Non sapevo nulla, ho appreso anche io dalle Iene». E l' altro: «Sì, sì... Non ne sapevi nulla... E io me la bevo, visto che c' era in questa vicenda candidata pure tua sorella Azzurra, che per le nostre regole non avrebbe potuto non avendo residenza a Palermo...».
Questo retroscena dice molto del clima in cui nel capoluogo siciliano è scoppiata la "firmopoli" grillina. Quella che ieri ha portato all' iscrizione nel registro degli indagati della procura 8 militanti, fra cui anche alcuni attuali parlamentari. Si sa che certamente nel gruppo c' è la deputata regionale Claudia La Rocca già interrogata dai magistrati e che ha subito ammesso le responsabilità raccontando i fatti e i protagonisti.
Sono coinvolti nella vicenda sicuramente l' attivista Samantha Busalacchi, e la parlamentare Claudia Mannino. All' epoca però si occuparono di quella lista anche la deputata attuale Loredana Lupo e ovviamente quello che doveva essere il candidato sindaco, Riccardo Nuti. Chi più chi meno avrebbe collaborato a quel falso nelle firme.
Dalla prima versione dei fatti il falso c' era - ed è un reato - ma sembrava originato da una idiozia senza capo né coda. La raccolta firme era stata fatta, ma solo alla vigilia della presentazione ci si era accorti che era stato annotato erroneamente il luogo di nascita di un candidato al Comune: Giuseppe Ippolito, registrato come nato a Palermo e invece era nato a Corleone.
La soluzione immediata sarebbe stata presentare le firme, e cassare dall' elenco il nome di quel candidato (avrebbe preso 17 voti a quelle comunali), e non ci sarebbe stato nessun problema. Invece è stata scelta una strada incredibile: sono stati rifatti i moduli delle candidature, con il luogo di nascita esatto di Ippolito, e tutte le firme vere raccolte sono state ricopiate a mano da un gruppo di esponenti grillini. Un reato penale.
beppe grilli giancarlo cancelleri
Quelle firme erano state regolarmente raccolte, e appartenevano a persone esistenti e coscienti di firmare. Ma i moduli presentati per le elezioni erano tutti falsi. In mille casi nella storia delle elezioni italiane erano false proprio le firme, non la grafia: erano inesistenti le persone a cui era attribuita l' intenzione di mettere la firma. O erano inventate le persone, o erano esistenti ma non avevano mai messo quella firma.
Questa linea del Piave (formalmente un falso, ma nella sostanza no) per marcare la differenza grillina però inizia a scricchiolare con le prime indiscrezioni che filtrano dalla procura di Palermo. Perché in quell' elenco potrebbero esserci firme false nella forma e pure nella sostanza, prese a caso da elenchi anagrafici non avendo i numeri che servivano. Questo aspetto - che non è secondario, soprattutto all' interno di M5s - troverà o meno conferma dallo sviluppo delle indagini.
le iene su grillo e le firme false dei grillini a palermo 9
Nel frattempo però la bomba politica è scoppiata, e se all' interno dei grillini siciliani qualcuno aveva intenzione di usarla contro l' altro gruppo (passano il tempo a litigare fra loro), ora si trova con le mani bruciate. Nessuno dei leader esistenti può approfittare della situazione.
Beppe Grillo ieri ha chiesto di auto-sospendersi a chiunque sappia di essere indagato. Lo ha fatto in solitudine La Rocca, l' unica che ha deciso di smetterla di raccontare menzogne. E ovviamente non finisce qui. Brutto colpo nella campagna elettorale referendaria, tanto è che Matteo Renzi ne ha subito approfittato: «Erano quelli di onestà-onestà... Ora l' hanno trasformata in omertà-omertà».
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La vicenda, a parte sporcare l' immagine dell' intero Movimento 5 stelle, piega quello siciliano a pochi mesi dalle elezioni comunali di Palermo e dalle regionali siciliane. Tanto è che già circola l' ipotesi di non presentare nemmeno il simbolo alle prossime comunali. E su questo i militanti già si spaccano. Perché ci sono altre figure a Palermo che non fanno parte della storia ufficiale di guida di quel movimento (il gruppo inaccessibile dei "monaci" che si riuniva intorno a Nuti), e che potrebbero giocare la loro partita.
Come il leader del sindacato Consap dei poliziotti, Igor Gelarda (cattolico e conservatore) o a sinistra il leader di Addio Pizzo, Ugo Forello, che per altro sembra sia stato il consigliere dell' operazione "verità" scelta da La Rocca: è difesa da un avvocato di Addio Pizzo. Ma non sarà facile rinascere sulle ceneri di questa vicenda. E chi fino ad oggi si è opposto alla verità si metterà di traverso.
2. LA PENTITA CHE HA ROTTO IL MURO DI OMERTÀ "BEPPE MI DISSE: CI METTETE NEI GUAI"
Emanuele Lauria per ‘la Repubblica’
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C' è una data, nella apparente storia minima che ha fatto deflagrare il movimento 5 stelle in Sicilia, che merita di essere sottolineata: martedì 8 novembre. È in quel giorno che, nel palazzo di giustizia che ha accolto corvi e pentiti, si presenta una ragazza con i capelli ricci e biondi. Si chiama Claudia La Rocca, ha 35 anni, è una deputata regionale di M5S e ha deciso, semplicemente, di rompere il muro di omertà dietro il quale si sono trincerati fino a quel momento attivisti e portavoce grillini.
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Si autoaccusa: dice di aver contribuito materialmente alla ricopiatura, alias falsificazione, di centinaia di firme utili per la presentazione della lista alle Comunali del 2012. Chiama in causa chi avrebbe copiato assieme a lei: fra gli altri, Claudia Mannino e Samanta Busalacchi. Dice che il candidato sindaco di Palermo, Riccardo Nuti, sapeva. Genera ulteriori testimonianze (due) e vengono fuori i nomi di altri presenti, più o meno partecipi e consapevoli, quando all' inizio di aprile di quattro anni fa, si taroccarono gli elenchi: fra loro Giulia Di Vita e Chiara Di Benedetto.
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Tutti attivisti che, tranne Busalacchi, sono oggi parlamentari. È un passaggio chiave: La Rocca, assieme ad altri due testimoni che hanno deciso di collaborare, dà un contributo decisivo alle indagini.
Lo fa per rispondere all' appello di Grillo («Chi sa, parli»), eppure lo fa in un clima difficile. Prima di andare in tribunale, anticipa la sua decisione ai colleghi del gruppo parlamentare all' Ars e poi fa «tutti i passi necessari» fra Roma e Genova, ivi inclusa una telefonata a Beppe Grillo nel corso della quale il leader - si apprende - avrebbe ascoltato e ricordato alla sua interlocutrice come altri parlamentari stessero declinando ogni responsabilità facendo querele.
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Rammentando come i protagonisti di questo caso - tutti stessero «mettendo in difficoltà il movimento». Ma i colleghi dell' Ars, per voce di Giancarlo Cancelleri, negano che i vertici di M5S fossero informati della decisione di La Rocca. E lo stesso Grillo smentisce di avere sentito la parlamentare. Così, La Rocca ieri si è autosospesa dicendo agli amici di essere «molto delusa».
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«Io non ho mai pensato che questa mia testimonianza - ha confidato dovesse essere un segreto, non ci vedevo nulla di male». Di lì un senso di «solitudine» che una nota di apprezzamento serale dei colleghi all' Ars, lunga tre righe, ha appena stemperato.
Il gesto coraggioso di La Rocca ha comunque assicurato una svolta in una vicenda che trae origine da un errore materiale: il luogo di nascita di un candidato M5S alle Comunali del 2012, Giuseppe Ippolito, era sbagliato. I grillini palermitani, per rimediare, e con la scadenza della presentazione delle liste alle porte, avrebbero pensato bene di ricopiare tutte (o quasi) le firme già raccolte: centinaia, migliaia.
Una sciocchezza, secondo lo stesso Grillo che ha parlato di «Oscar della stupidità ». Ma una sciocchezza che costituisce un reato, punibile da due a 5 anni, che sanziona non solo chi falsifica liste di elettori ma anche chi di quegli atti contraffatti fa uso.
Una prima inchiesta, aperta nel 2013 in seguito a un esposto anonimo e affidata alla Digos, venne archiviata dalla procura nel 2014. A inizio ottobre il caso è riesploso dopo un servizio delle "Iene", innescato da un altro anonimo che ha fornito l' elenco delle firme vere e mai presentate in tribunale. Di lì la nuova inchiesta, corroborata dalle dichiarazioni di un superteste, Vincenzo Pintagro, che ha detto di aver visto Mannino e Busalacchi falsificare le firme.
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Ma rafforzata anche dal disconoscimento del proprio autografo da parte di oltre un centinaio di sottoscrittori convocati in Questura. Malgrado il cerchio dei magistrati si stringesse, malgrado lo stesso Grillo avesse invitato tutti a collaborare, il gruppo chiuso di deputati che fa capo a Riccardo Nuti - i "monaci" nel gergo grillino non ha ritenuto di fare alcun passo indietro. Né ammissioni, né autosospensioni. Solo La Rocca, fra tanti silenzi, ha deciso di collaborare. E il castello di reticenze è venuto giù.
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