
DAGOREPORT - DELIRIO DI RUMORS E DI COLPI DI SCENA PER LA CONQUISTA DEL LEONE D’ORO DI GENERALI –…
Marco Zatterin per “la Stampa”
Parola d’ordine: «Semplificare». Mentre l’Europa dibatte a fatica come riformare il governo della sua moneta e l’Unione a ventotto, arriva dai palazzi del Fondo monetario internazionale una proposta snella per riscrivere le regole del gioco e renderle più efficaci. La formula si fonda sul principio di «una sola àncora e un solo riferimento operativo», suggerendo di usare il rapporto debito/pil per arbitrare la gestione dei conti pubblici, e di accompagnarlo con un obiettivo pratico unico, come «la variazione della spesa statale».
Sarebbe l’addio al mitico 3% per la relazione pericolosa fra disavanzo e pil. Necessario, perché «c’è poca razionalità economica nell’imporre vincoli più stringenti su un paese che ha superato un limite che fotografa solo una tendenza annuale».
ario Draghi e Christine Lagardee cf fc e df c a d
Non è difficile criticare la struttura che sovrintende le decisioni economiche dell’Ue, è stata costruita a base di compromessi successivi e in tempi difficili. La sua vaghezza è anche figlia d’una esigenza di flessibilità, la stessa che si è trovata nelle pieghe dei Trattati quando - anche su pressione dell’Italia - è stato necessario farlo. Abbiamo il Patto di stabilità, aggiornato con due impianti successivi (detti “Six pack” e “Two pack”) che in parte sono stati blindati in un accordo intergovernativo, e il Fiscal Compact. Ce n’è per tutti i gusti, e questo è buono. Tuttavia, proprio la somma delle incrostazioni finisce spesso per avere la meglio sul dinamismo collettivo.
«Ridurre le complessità», scrivono sette economisti in un documento intitolato “Riformare la politica di bilancio nell’Ue” appena pubblicato dal Fmi. L’impianto attuale è «difficile da amministrare e restano preoccupazioni sul suo rispetto». Così si parte dalla prima idea, quella di un indicatore unico: il debito. E questo perché «dall’inizio della crisi è salito in media di trenta punti sino al 95% del pil Ue».
Vuol dire che la recessione e la crisi hanno colpito maggiormente la serie storica che non quella annuale, cioè il deficit. Ciò fa del debito un indicatore «più adatto», dice il team del Fondo, in quanto permette di valutare a modo gli scostamenti passeggeri. Punisce sul medio e non sul breve termine. Il che, però, all’Italia non conviene più di tanto: col deficit imbrigliato ha buoni voti, mentre col debito a 130% del pil finirebbe sepolta dai rimbrotti.
L’altra idea è quella di unire la parte preventiva e quella correttiva del Patto di Stabilità, ovvero ciò che si può fare per rispettare le regole e quello che tocca quando non lo si è fatto. I due concetti sono ora mescolati, argomentano i Sette pubblicati da Washington. Con un atteggiamento più omogeneo, invece, «si garantirebbe la sostenibilità del bilancio come quella macroeconomica, facilitando il monitoraggio e la comunicazione».
Come? «Un approccio ambizioso» vedrebbe la fusione di prevenzione e correzione, con misure commisurate all’entità dello scarto dagli obiettivi. «Buona idea», commenta una fonte Ue. Ma la discussione, che avrà la sua nuova tappa al vertice Ue del 25, è così arretrata che «è proprio prematuro parlarne».
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