FLASH! - FERMI TUTTI: NON E' VERO CHE LA MELONA NON CONTA NIENTE AL PUNTO DI ESSERE RELEGATA…
Monica Guerzoni per il “Corriere della Sera”
Non è la prima volta e probabilmente non sarà l'ultima che il nome di Dario Franceschini e quello di Mario Draghi si ritrovano in tandem nelle cronache dei Consigli dei ministri, accompagnati da parole come scontro, sfida, duello. Due giorni fa la scintilla è stata l'App18, il bonus cultura di 500 euro introdotto dal governo di Matteo Renzi per i ragazzi che diventano maggiorenni.
Il presidente del Consiglio voleva ridimensionarlo, ma davanti al muro di parole alzato dal ministro della Cultura il premier alla fine ha «mollato», lasciando che la misura trovasse posto nella versione definitiva della manovra economica. La questione in sé non ha un grande impatto politico rispetto a una Finanziaria, la prima dell'ex presidente della Bce, che vale 30 miliardi e promette di tagliarne 12 di tasse.
Ma il presunto non amore tra Franceschini e Draghi è diventato un piccolo caso tra i ministri, che da settimane assistono ai «duelli» incrociando occhiate e dandosi di gomito, forse stupiti dalla mancanza di timore reverenziale del collega. Era successo il 20 ottobre, quando Franceschini ha chiesto piuttosto energicamente di salvare il bonus facciate che stava per saltare.
Ne è seguito un confronto che i presenti hanno definito «molto duro», con Franceschini che ricordava come la norma fosse un cavallo di battaglia dei 5 Stelle e del governo Conte e con Draghi, visibilmente seccato, che metteva le casse dello Stato davanti alle ragioni dei partiti: «Le risorse sono finite ministro, altrimenti il sistema salta». Giovedì la replica sull'App18, che consente ai diciottenni di acquistare libri, quotidiani, corsi di lingua, biglietti per il cinema, i musei, i teatri, i concerti e che per Franceschini è un aiuto prezioso per rimettere in moto il settore della cultura.
Draghi, che aveva già espresso le sue perplessità durante la cabina di regia, dove per il Pd c'era Andrea Orlando e non il diretto interessato, esterna i suoi dubbi anche durante il Cdm: «Stiamo dando 500 euro anche al figlio di un miliardario, che una cifra simile la spende al ristorante. Per me è sbagliato, sarebbe più giusto mettere un limite di reddito in base alle fasce Isee e aiutare i ragazzi più fragili».
È a quel punto che Franceschini prende la parola e rivendica con forza il provvedimento di renziana memoria: «Lo spirito della norma, che Francia e Spagna ci hanno copiato, è dare sostegno al settore». Il botta e risposta è andato avanti finché Draghi non ha deciso di capitolare e passare a capitoli di spesa più importanti. «Dario è molto tosto sulle questioni di merito che lo riguardano - è la lettura di un esponente del governo - Ma non c'è alcun braccio di ferro, né una voglia di sfidare Draghi».
C'è che Franceschini ha una lunga carriera politica alle spalle, parlamentare e di governo, ha guidato il Pd da segretario ed è stato ministro con cinque presidenti del Consiglio. Non è una new entry, insomma. Ragion per cui nella squadra di Draghi c'è anche chi alza lo sguardo da Chigi al Colle e sospetta che lo scarso feeling tra il presidente e il capo delegazione dem nasca dal fatto che sono entrambi «candidabili».
«Dario si agita molto, vuole fare il presidente della Repubblica - maligna un ministro di centrodestra - Sperava che Salvini uscisse dal governo, così una maggioranza più spostata a sinistra lo eleggeva al Quirinale». Spifferi, veleni, che nel Pd ovviamente tutti smentiscono e che preoccupano i collaboratori di Franceschini. Ai quali il ministro ripete ormai ogni giorno che «il rapporto con Draghi è ottimo» e che le cose «raccontate come scontri sono semplici e civilissime discussioni di merito, come è giusto e normale che se ne facciano nelle riunioni del Consiglio dei ministri». In effetti il ministro della Cultura ne faceva di belle toste anche con Matteo Renzi e poi con Giuseppe Conte, ma verso l'avvocato che ora guida il M5S non c'era quella soggezione che a volte sembra paralizzare i ministri di Draghi.
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