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Marco Moussanet per "Il Sole 24 ore.com"
Il presidente François Hollande, il premier Jean-Marc Ayrault e il ministro dell'Economia Pierre Moscovici lo hanno detto e ripetuto: la Francia si è impegnata a ridurre al 3% nel 2013 (dal 4,5%, o forse 4,4%, di quest'anno) la percentuale di deficit sul Pil e 3% sarà . Rinunciare al rispetto di questo obiettivo avrebbe infatti un impatto pesante sul mercato del debito pubblico, dove Parigi si sta finanziando a tassi molto bassi.
Per non rischiare di intaccare la credibilità del Paese e il rapporto di fiducia con gli investitori, la Finanziaria che verrà presentata oggi prevede quindi uno sforzo inedito: trenta miliardi, dieci sul fronte della spesa (nessun taglio ma un rallentamento della dinamica di crescita) e venti di inasprimento fiscale (equamente diviso tra famiglie e imprese). Cui si aggiungono i sette miliardi di nuove tasse frutto della manovra del luglio scorso.
Ma in Francia si stanno moltiplicando le voci favorevoli a uno slittamento di un anno, al 2014, della riduzione del deficit al 3 per cento. Per evitare un effetto recessivo dalle conseguenze ben più gravi.
Certo non può essere Parigi a chiederlo, dopo aver strillato ai quattro venti che la Francia non è il Portogallo e neppure la Spagna. Ma ci potrebbe essere un'iniziativa forte della Commissione europea in questo senso, un allentamento generale del processo di risanamento dei conti pubblici in presenza di una crisi che si prolunga e che forse si allenterà proprio verso la fine dell'anno prossimo e nel 2014.
A tifare per uno slittamento sono quasi tutti gli economisti, che sottolineano come le previsioni ufficiali di crescita per il 2013 (0,8%), sulle quali è basata la Finanziaria, siano eccessivamente ottimiste. Lo sostiene da tempo Patrick Artus (Natixis). Lo ha spiegato nei giorni scorsi Bruno Cavalier (Oddo Securities): «Se in primavera, come tutto lascia immaginare, la Francia sarà in recessione, ci saranno solo due possibilità . O varare nuove tasse, nell'ordine dei 15 miliardi, per coprire il buco. Oppure rinegoziare con i partner europei i tempi di rientro del deficit. La prima opzione equivale a un suicidio economico. Quindi non resta che la seconda. Mettendo certo sul piatto un'agenda di riforme strutturali, finalizzate soprattutto a una vera riduzione della spesa pubblica».
Una posizione, quella favorevole a un rinvio, che sta cominciando ad avere degli adepti, e non di poco peso, anche all'interno della maggioranza socialista. «Certo non è la Francia a doverlo dire - ha dichiarato il presidente dell'Assemblea nazionale Claude Bartolone - ma l'obiettivo del 3% nel 2013 è insostenibile. Bisogna rendersi conto che non si possono pretendere gli stessi sforzi da tutti i Paesi europei, quelli dove c'è la crescita e quelli dove non c'è».
Un ulteriore contributo al dibattito è arrivato ieri da Euler Hermes, il leader mondiale dell'assicurazione al credito del gruppo Allianz. Che dispone forse delle antenne più sensibili alla situazione delle imprese. E che si schiera decisamente a favore di uno slittamento.
Euler Hermes parte addirittura dalla certezza che il rispetto del 3% l'anno prossimo è «impossibile» e immagina tre scenari. Il primo, definito "centrale", prevede che lo sforzo fiscale - pur riequilibrato tra le diverse figure di contribuenti e con una più forte riduzione della spesa - rimanga sostanzialmente inalterato rispetto alla Finanziaria di quest'oggi. Che non ci siano cioè ulteriori manovre. In questo caso la crescita sarebbe l'anno prossimo dello 0,3%, con un deficit al 3,5% del Pil.
Il secondo, definito "audace", scommette su uno "shock di competitività " sia pure limitato (con un taglio di circa 11 miliardi dei contributi a carico delle imprese) e dovrebbe consentire una crescita dello 0,9% con un deficit al 3,7 per cento.
Il terzo, chiamato "blocca-crescita", è appunto quello del Governo. Con un ulteriore aumento della pressione fiscale l'anno prossimo per poter rispettare il 3 per cento. In questo caso il Pil 2013 sarebbe in flessione dello 0,2 per cento. Il che si tradurrebbe in un aumento pari al 4% dei fallimenti, già in forte progressione, che raggiungerebbero la cifra record dei 65mila.
Quanto ai timori legati all'impatto sui tassi d'interesse del debito pubblico, gli economisti di Euler Hermes ricordano che a tenerli bassi contribuisce all'eccellente performance dei grandi gruppi francesi sul mercato dei corporate bond (di cui rappresentano circa il 50%).
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