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Paolo Lepri per “il Corriere della Sera”
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In Germania non c’è spazio per l’antisemitismo, «una minaccia per la libertà di tutti». È stato un «no» molto netto, che ha radici profonde nella memoria del passato e si proietta in un futuro da vivere nel segno della tolleranza, quello che Angela Merkel ha pronunciato ieri. «Mai più odio contro gli ebrei», era la parola d’ordine della grande manifestazione svoltasi alla Porta di Brandeburgo e sono rimasti pochi dubbi sulla volontà del governo di combattere con forza il risorgere di un fenomeno vecchio e nuovo, alimentato in questi ultimi mesi dalle proteste anti-israeliane organizzate da settori della comunità islamica.
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«L’ebraismo è parte della nostra identità», ha detto la cancelliera. Quindi, «chiunque colpisce chi indossa una kippah colpisce tutti noi, chi distrugge una tomba distrugge la nostra cultura, chi attacca una sinagoga attacca le basi della nostra società libera». Stroncare tutto questo «è un dovere civico, un obbligo dello Stato».
Il discorso della cancelliera, più volte interrotto da applausi, è iniziato proprio con un omaggio agli ebrei che vivono in Germania (è l’unica comunità aumentata di dimensioni in un Paese europeo) e che hanno fatto una scelta impensabile qualche decennio fa. «Sono oltre centomila: si tratta di un miracolo — ha detto — e di un regalo che ci riempie di gratitudine».
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Proprio per questo è «uno scandalo» che oggi non si sentano più sicuri. È «inaccettabile», ha proseguito, che gli ebrei vengano minacciati e aggrediti e che le manifestazioni filo-palestinesi si trasformino in esibizioni di odio, abusando del diritto alla libera espressione che è una caratteristica di una società aperta.
La Germania, invece, è «la loro casa». Lo è diventata, è stato il ragionamento di Angela Merkel, «perché abbiamo sempre tramandato da generazione a generazione la memoria e la conoscenza di quel capitolo terribile della nostra storia che è stato l’Olocausto».
L’allarme della comunità israelitica in Germania ha trovato così risposta. Ieri se ne è fatto nuovamente interprete il presidente del consiglio centrale degli ebrei tedeschi, Dieter Graumann, che ha denunciato il clima di intimidazione sempre più minaccioso e il fatto che «slogan antisemiti così violenti non risuonavano nelle strade delle nostre città da molti decenni».
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Le sue parole erano state precedute da quelle del rabbino Daniel Alter che aveva denunciato lo stato di «forte angoscia» di un numero sempre crescente di persone, molte delle quali «stanno pensando di tornare in Israele», e aveva ricordato un sondaggio secondo cui il venticinque per cento dei tedeschi avrebbe sentimenti antisemiti latenti. Una cifra, questa, che raddoppia nella comunità islamica.
Nel giugno e luglio di quest’anno gli atti di antisemitismo sono stati 159, tra cui l’incendio di una sinagoga a Wuppertal e l’aggressione a un uomo che indossava una kippah a Berlino. Slogan violenti sono stati gridati in decine di manifestazioni e la scritta «Hamas, ebrei al gas» è stata tracciata a pochi metri della sinagoga berlinese di Orianeburger Strasse.
È probabile che il governo tedesco, impegnato nel sostenere campagne per promuovere la convivenza, prenda nuove iniziative nella prevenzione dell’estremismo anti-ebraico. In ogni caso, come ha riconosciuto Graumann, da Berlino è arrivato «un segnale importante».
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E una dimostrazione di unità, si potrebbe aggiungere, perché alla manifestazione (alla quale hanno partecipato il presidente Joachim Gauck e i ministri più importanti della grande coalizione) hanno aderito tutti i partiti, anche la Linke e i Verdi, le due forze di opposizione rappresentate in Parlamento.
Non è un caso che, parlando con il Corriere , il leader storico degli ambientalisti, l’ex ministro degli Esteri Joschka Fischer,abbia elogiato il discorso della cancelliera perché «combattere l’antisemitismo è un dovere, soprattutto per noi». «Anche se il pericolo è forse maggiore in Europa che non in Germania», ha aggiunto. Intanto, però, i tedeschi hanno dato l’esempio.
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