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emmanuel macron - discorso ai francesi
Francesca Schianchi per la Stampa - Estratti
Quando, a giugno, il presidente della Repubblica Emmanuel Macron sciolse inaspettatamente l’Assemblea nazionale e portò il Paese a nuove elezioni, bastarono pochi giorni ai leader dei vari partiti di sinistra per riuscire là dove anni di abboccamenti e trattative non erano riusciti.
Sull’urgenza di un risultato straordinario dell’estrema destra del Rassemblement national alle Europee, nel giro di pochi giorni nacque il Nuovo Fronte popolare, un’alleanza tra socialisti, comunisti, ecologisti e La France insoumise, il partito del vulcanico Jean-Luc Mélenchon: al secondo turno delle legislative, facendo accordi di desistenza con il centro macroniano, riuscirono nel miracolo che nessun sondaggio aveva previsto. Sbarrarono la strada a Marine Le Pen che, nonostante 12 milioni di voti, non arrivò ad agguantare l’agognata maggioranza di seggi in Parlamento.
A sei mesi di distanza, però, quell’accordo sembra arrivato al capolinea. Ha retto i tre mesi di governo Barnier guardati dall’opposizione, ha retto anche alla decisione di mozione di censura, benché abbracciata con molto più entusiasmo dai deputati mélenchoniani: il differente atteggiamento nelle varie composizioni dell’alleanza era plastico in Aula, mercoledì scorso, quando i socialisti restavano a braccia conserte dinanzi a interventi scoppiettanti degli alleati insoumis (tipo: «abbiamo messo un chiodo sulla bara di Macron»).
Rischia però ora di non reggere alla disponibilità dichiarata dal segretario socialista Olivier Faure a un governo «a tempo determinato» con il centro macroniano, e perché no, anche la destra gollista: un’apertura dichiarata in radio ma anche faccia a faccia al presidente Macron, in un incontro durato oltre un’ora all’Eliseo.
«La France insoumise non ha conferito alcun mandato a Faure, né per presentarsi solo a questo incontro, né per negoziare un accordo e fare concessioni reciproche a Macron e ai Repubblicani – ruggisce l’anziano tribuno Mélenchon – niente di ciò che fa o dice è a nome nostro o del Fronte repubblicano». Una plateale presa di distanza a cui fa eco la dichiarazione ancora più tranchant dell’eurodeputata della France insoumise Manon Aubry: «Un tradimento». Già, perché se i socialisti dovessero continuare su questa strada, se dovessero arrivare a trovare un accordo con centristi e magari la destra dei Repubblicani (anche se qualcuno come il ministro uscente Retailleau ha già chiuso all’ipotesi), se addirittura dovessero trascinare con sé su questa strada comunisti ed ecologisti, il Fronte popolare andrebbe in frantumi.
olivier faure francois hollande
E’ escluso categoricamente infatti che Mélenchon e compagni possano cercare qualsivoglia accordo con centristi e destra moderata. Da subito le loro condizioni sono state: o la loro candidata premier (Lucie Castets) e il loro programma, o niente. A poco serve il tentativo di Faure di gettare acqua sul fuoco, di dire che Macron non ha chiuso a nessuno: saranno loro a chiudere a lui.
Così, il cartello delle sinistre potrebbe infrangersi sulla crisi politica
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