DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
1. NON CI TOCCHERÀ MICA QUESTO QUI?
Francesco Specchia per Libero Quotidiano
Dimissioni, dimissioni!/Franceschini e Francesconi/fan la voce da padroni/nella stanza dei bottoni: dimissioni, dimissioni!/Alla fine, furbacchioni,/salta fuori Gentiloni...», scriveva ieri lo storico Marco Cimmino sull' affannoso andirivieni del ministro degli Esteri al Quirinale, ma proiettato verso Palazzo Chigi. Pregevole sintesi di un premier annunciato.
Ora, dovendo tranquillizzare l' Europa, chetare gli avversari più incazzosi e narcotizzare la legislatura, la probabile scelta di Paolo Gentiloni, l' uomo Lexotan, come prossimo Presidente del Consiglio potrebbe avere, per Sergio Mattarella (un altro, per intenderci il cui sguardo non è attraversato da saette) una sua ragione tattica.
C' è, magari incomprensibile, ma c' è.
Svanito lo spettro di un complotto franceschiniano o di un golpe alla Piero Grasso, Renzi ora potrebbe dare l' ok ad un esecutivo che abbia lo scopo essenziale di fare la nuova legge elettorale, concludere la trattativa con l' Ue sulla manovra e presiedere i due grandi appuntamenti internazionali di marzo, i 60 anni dai Trattati Ue a Roma in marzo e il G7 di Taormina in maggio.
Dopodiché, la prospettiva è di andare al voto ad aprile prossimo, forse giugno, forse inizio luglio, al massimo ottobre quando i governi stanno come d' autunno sugli alberi le foglie. Ed ecco che, d' istinto, all' idea dell' autunno, del grigiore, della sensazione livida del transeunte; ecco che, in un comprensibile passaggio psicanalitico, il primo nome che affiora è quello del conte Paolo Gentiloni Silverj, 62 anni, il ministro che pare sempre passato di là per caso.
Di Gentiloni, il «Metternich» estenuato del cattocomunismo , il «renziano prima ancora di Renzi» (copyright Fabio Martini), .... si sa praticamente tutto. Dunque non mi soffermerò, qui, sulla sua biografia frastagliata. Sulla faccenda del cadetto di nobile famiglia romana; sul «Patto Gentiloni» che nel 1913 riportò i cattolici nella politica italiana impresso nel destino; sulle militanza giovanile con l' eskimo al Tasso liceo della sinistra romana; sui trascorsi con Mario Capanna, col Movimento Lavoratori per il socialismo, o al Manifesto. Una sorta di lento percorso di Santiago politico che, poi, via via ha portato il nostro a stingersi nel radicale di Rutelli (di cui fu il demiurgo elettorale nelle elezioni vittoriose della Capitale), nel prodismo tiepido e nel renzismo pugnace.
Moti dell' anima e della poltrona, codesti, che l' hanno spinto più volte alla trombatura politica (l' ultima a Roma contro Ignazio Marino) trasformata sempre e opportunamente nella reincarnazione in una poltrona superiore. Da portavoce a deputato, da ministro a (forse) premier. Né parlerò delle sue leggendarie partite a poker o a tennis con Ermete Realacci, Chicco Testa o Cacciari («che s' incazzava e spaccava le racchette come Mc Enroe») l' unico momento in cui il suo sorriso triste si trasforma in timido entusiasmo. No.
Se uno digita su Google il nome di Gentiloni emergono almeno mezzo milione di citazioni. Gentiloni è in Parlamento dal 2001, non lo noti perché tende a confondersi con le mura. Se diventasse premier transitorio, tra l' altro, sarebbe il suo canto del cigno, perché lo statuto del Pd gl' impedirebbe, in teoria, di candidarsi dopo il 15° anno sugli scranni. Ma questo è un dettaglio. Gentiloni ha successo perché, di solito, nel braccio di ferro dei partiti ha il privilegio di essere l' uomo di sintesi, o -seconda l' ottica- la terza scelta (stavolta dopo Padoan e Franceschini). Il ministro è un tipo corretto e gentile, anche se i simpatici sono diversi.
greta e vanessa atterrano a roma gentiloni le accoglie 1
Ha una laurea in Scienze Politiche e una moglie, parla cinque lingue, tra cui il democristiano antico. L' ho incontrato spesso quand' era a capo del dicastero della Comunicazione e il suo disegno di legge per smontare il sistema radiotelevisivo e Rete4 sembrava il piano Marshall delle tv. Una volta lo intervistai con Corradino Mineo: parlò per un' ora di seguito, a ritmo di fado portoghese, di riforma Rai senza mai citare la Rai o dare una notizia. Io stavo impazzendo, Mineo, ammirato, invece si candidò col Pd. Però, se Gentiloni si arrampica su Palazzo Chigi, occorre sfogliarne i successi in curriculum. Che, diciamo, non abbondano.
Nel 2006 non risolve il problema della posizione dominante nella raccolta pubblicitaria. Nel 2007 vede fallire la sua riforma del servizio pubblico,ed è massacrato per aver proposto l' obbligo di registrazione e d' adempimenti amministrativi a ai siti web, in stile governo cinese; evita il linciaggio scusandosi.
Da ministro degli Esteri, nel 2015, Gentiloni annuncia, come primo atto, di «riportare i marò subito a casa», e poi s' è visto. In merito alla crisi legata all' Isis -che lui s' ostina a chiamare Daesh come Hollande, Cameron e Kery, e non porta bene- dichiara: «se necessario, l' Italia sarà pronta a combattere in Libia contro lo Stato islamico, perché il governo italiano non può accettare che ci sia una minaccia terroristica attiva alcune ore di barca dall' Italia», ma il suo decisionismo si perde a Bruxelles. Nello stesso anno, ci avverte dei rischi di infiltrazione terroristica tra i migranti, suscitando un' ondata di panico, Renzi se lo mangia.
Poi si scusa. Si ripete pochi mesi fa, quando, per giustificare l' astensione dell' Italia sulla risoluzione dell' Unesco che nega i luoghi sacri di Israele afferma: «Facciamo così da anni, è l' undicesima volta che l' Italia si astiene», aggiungendo al Corriere della sera «il voto all' Unesco? Un nostro successo». Le comunità ebraiche gli tolgono il saluto, s' incazzano perfino gli americani a cui, da sempre, il conte Gentiloni è vicino. Sbaglia spesso, ma facendolo con rispetto e sottovoce, la gaffe viene scambiata per strategia. Risultata ora -parrebbe- vincente. Prepariamoci al Lexotan...
2. IL SOGNO LENTO DI GENTILONI È LA RIVINCITA DEL MEDIOCRE
Luca Telese per la Verità
Tutto ci si poteva immaginare dal caleidoscopio impazzito della fine del renzismo tranne che le dimissioni dello statista di Rignano propiziassero persino l' ipotesi di un' ascesa a Palazzo Chigi di Paolo Gentiloni. Paolo, detto «er moviola», nella soave coloritura della lingua romanesca, per il suo piglio, la sua intraprendenza, il suo carisma sonnolento e rovesciato.
È vero che in politica si attraggono i contrari. Ed è vero che il professor Carlo Cipolla, nel suo indimenticabile Allegro ma non troppo scrisse un folgorante saggio sulla «prevalenza del cretino», spiegando con arguto spirito di paradosso perché in Italia i mediocri abbiamo sempre e comunque la loro incredibile opportunità di carriera.
Nel processo di continua degradazione che emana dal Potere, spiegava Cipolla, un mediocre sceglie sempre uno più mediocre di lui (in base al principio per cui non vuole avere ombra) finché l' ultimo della fila dei precettati non è talmente mediocre da precettare (inconsapevolmente) uno più mediocre di lui. La cosa buffa è che - come in un racconto umoristico Paolo Gentiloni, in queste ore, diventa il nome più gradito da Renzi proprio per la sua mancanza di accento, di carattere, di personalità pubblica.
ADUSO AL POTERE Intendiamoci: Gentiloni non è un fesso, anzi. Ha gestito è amministrato per anni il potere, prima all' ombra di Francesco Rutelli, come sua Eminenza Grigia in Campidoglio, poi come sua Eminenza Grigia nella Margherita, quindi come dispensatore di potere dentro il Pd, curando l' orticello cruciale della Comunicazione e dell' Emittenza, e la scienza sofisticata della spartizione dei poteri nella sontuosa accademia lottizzatoria della Rai dei partiti. La carriera di Gentiloni ha qualcosa di unico e di fenomenale. Procede per salti di qualità asimmetrici: più perde, più viene promosso.
Moderato fini quasi alla sonnolenza, del tutto incapace di discorsi politici meno che soporiferi, Paolo è una persona squisita per modi e capacità di relazione. Quando era in numero due dalla squadra rutelliana, e i suoi palafrenieri - Mi chele Anzaldi e Filippo Sensi già menavano con la clava del talento mediatico, Gentiloni interloquiva e mediava con tutti, amici e nemici, alleati e vittime.
Quando si litigava con Tonino Di Pietro lui ci prendeva l' aperitivo, quando era guerra con l' ala democristiana della Margherita dispensava sorrisi, quando era nel Pd cercava punti di affinità con la costola socialista.
Quando Rutelli con uno strappo abbandona il Pd, lui a sorpresa - ma con lungimiranza non lo segue, e capitalizza la sua fedeltà alla Ditta.
PAOLO GENTILONI WALTER VELTRONI
Nobile di alto lignaggio, della famiglia dei conti Gentiloni Silverj, Nobili di Filottrano, di Cingoli e di Macerata. Pronipote di quel conte Vincenzo Ottorino Gentiloni che aveva portato, con il suo omonimo patto, i cattolici dentro la storia dei partiti di massa (e quindi dentro il Novecento), in barba al «Non expedit» con cui Pio IX aveva posto un veto alla partecipazione della vita politica nell' Italia liberale, Paolo Gentiloni nasce come tutti i moderati di mezza età estremista incendiario a vent' anni.
Da bambino era così cattolico da condividere gli esercizi di catechesi con Agnese Moro. Da ragazzo era così estremista da scegliere il Movimento Studentesco di Mario Capanna per muovere i primi passi. A dicembre del 1970, a sedici anni, è ancora uno studente post montessoriano al liceo Tasso.
A dicembre fugge di casa e scappa a Milano, la capitale del Sessantotto italiano. Milita nei giorni caldi della contestazione nel Movimento dei Lavoratori per il socialismo.
Poi, passata la prima ubriacatura, aderisce al gruppo del manifesto, e si iscrive al Pdup di Lucio Magri e di Luciana Castellina. Il futuro ministro degli Esteri è in questi anni un pacifista integrale, inizia a scrivere nelle riviste antimilitariste. In quel periodo conosce i suoi amici di una vita.
Ad esempio Ermete Realacci, futuro segretario di Legambiente, che dice di lui: «Per dire che uno è un cretino, Paolo è capace di perifrasi fredde, taglienti ma non offensive, del tipo: "Non sono sicuro che io mi comporterei così"...». È Chicco Testa che gli fa fare il primo salto di qualità, nel 1984, favorendo la sua nomina a direttore di Nuova Ecologia. Ed è in questi anni che stringe il rapporto decisivo con Rutelli, un radicale che si sta avvicinando alle tematiche verdi.
Nel 1989 i Verdi Arcobaleno di Rutelli e Gentiloni conquistano il quorum alle Europee. Nel 1993 l' ex radicale diventa sindaco di Roma e Paolo entra in Campidoglio come portavoce dell' Astro nascente della politica italiana. È il teorico del movimento delle Centocittà (ribattezzato da Giuliano Amato, con geniale causticità, «le Centopadelle») con cui Rutelli passa alla politica nazionale.
Poi c' è un lungo viaggio di scissioni e riaggregazioni, l' Asinello, la Margherita (che gli regala il laticlavio ministeriale, alle Comunicazioni) fino al Pd. Memorabile la battuta perfida consegnata a Maria a Teresa Meli quando Rutelli era finito in minoranza nella Margherita: «Figuratevi se mi faccio comandare da una banda di ex democristiani» (se la ricorderà Mattarella?).
E memorabile anche la cavalcata per le primarie del sindaco di Roma da candidato renziano nella Capitale: arriva terzo (su tre) dopo Ignazio Marino e David Sassoli (con il 15%). Quella che per chiunque sarebbe stata una rovinosa caduta, per lui diventa - in virtù del teorema Cipolla - un titolo di benemerenza, un credito, un trampolino. Renzi, infatti, ama molto quelli che non sfavillano. Così la fortuna di Gentiloni è dietro l' angolo: quando nasce il governo dell' uomo di Rignano, nella casella degli Esteri c' è Federica Mogherini.
Ma quando la Mogherini vola in Europa, in pole position per sostituirla c' è una ragazza talentuosa, sgobbona e brillante, Lia Quartapelle. «Troppo giovane e inesperta», secondo la moral suasion di Giorgio Napolitano, che indica il terzo arrivato delle primarie capitoline. Ecco che Gentiloni si ritrova miracolato alla Farnesina, dove amministra con il suo temperamento sonnolento le faccende più spinose. Dice di lui l' amico Anzaldi: «È uno sgobbone, uno che approfondisce i dossier fino all' ultima pagina», sostiene il deputato del Pd, «un perfezionista che non sopporta intromissioni improprie: quando era ministro scriveva sul suo portatile provvedimenti e circolari e poi portava il testo a casa: i superburocrati apprendevano tutto a cose fatte».
Però, sul caso Regeni, Gentiloni viene umiliato dal regime di Al Sisi, si mostra più realista del re, incassa figuracce su figuracce, che culminano nell' occultamento del corpo e nei depistaggio da parte del governo del Cairo. Ancora peggio si comporta nei giorni del golpe turco. Con il suo consueto tempismo, si trova a twittare messaggi di solidarietà al suo omologo di Ankara e al regime di Erdogan, proprio nelle ore in cui i mozzaorecchie turchi danno il via alle repressioni e alle purghe. Adesso, in omaggio all' adagio di Cipolla, Renzi immagina di cedergli lo scettro, convinto di trovare in lui un uomo malleabile. Chissà che «Er moviola», una volta nel stanza dei bottoni, non riservi sorprese anche a lui.
MANIFESTAZIONE CONTRO LA RISOLUZIONE UNESCO SUL MURO DEL PIANTO - IL FOGLIOGENTILONI RENZI RUTELLI
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