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Iacopo Scaramuzzi per La Stampa
«Finché io ho gestito, non c’è stata né doppia fatturazione, né doppio pagamento». Così Gianantonio Bandera, imprenditore ligure, offre la sua versione sulla vicenda della ristrutturazione dell’appartamento del cardinale Tarcisio Bertone, nel corso di una audizione come testimone al processo per peculato a carico di Giuseppe Profiti e Massimo Spina, ex manager ed ex tesoriere della fondazione Ospedale Bambino Gesù, in corso nel Tribunale vaticano. Sebbene avessero chiesto di essere sollevati, sono stati convocati come testimoni – gli ultimi del processo – Mariella Enoc, presidente del Bambino Gesù, e Tommaso Di Ruzza, direttore generale dell’Authority finanziaria vaticana (Aif).
Il Governatorato, ha spiegato il collegio giudicante, ha presentato alla società Castelli Re, all’epoca guidata da Bandera, quattro fatture (3 giugno 2014, 7 agosto, 10 ottobre, 2 dicembre). L’imprenditore ha però spiegato che per allora egli già non era più alla guida della sua società: ad aprile del 2014, infatti, era scattata la domanda di concordato, poi concesso il 23 dicembre del 2014, che avrebbe infine portato al fallimento della società. «Finché io ho gestito, non c’è stata né doppia fatturazione, né doppio pagamento», ha detto l’imprenditore rispondendo alle domande dell’avvocato di Profiti.
Gianantonio Bandera ha detto di avere conosciuto Tarcisio Bertone quando era arcivescovo di Vercelli nel 1991/1992 e di aver «incrociato» la prima volta nel 2009 a Genova Giuseppe Profiti, l’ex manager del Bambino Gesù imputato al processo, che successivamente lo contattò a Roma per affidare alla sua impresa Bcg una parte dei lavori di costruzione della sede che lo stesso ospedale ha nel quartiere San Paolo della capitale, in consorzio con l’impresa Italiana costruzioni. Nel corso dell’interrogatorio l’imprenditore non ha fornito né cifre precise né date esatte.
massimo spina giuseppe profiti
Quanto all’appartamento, di proprietà del Governatorato, dove abita il cardinale Bertone, Bandera ha riferito che ai primi di settembre del 2013 Profiti lo contattò preannunciandogli che lo avrebbe chiamato il porporato in persona. Bertone lo contattò, e successivamente lo incontrò, dicendogli che gli avrebbe voluto affidare la progettazione e la ristrutturazione dell’abitazione. «Voleva un alloggio normalissimo, con finiture medie», ha detto Bandera. L’imprenditore disse anche che avrebbe fatto uno sconto.
Secondo Bandera, il committente per l’appartamento del Cardinale era la Fondazione Bambino Gesù mentre il Governatorato vaticano era committente per le sole parti comuni dell’appartamento con le altre abitazioni dell’edificio, sebbene durante l’interrogatorio sia poi emerso dalle sue parole che il Governatorato, che aveva un geometra fisso nel cantiere, ha approvato una variante dei lavori che comportava un innalzamento dei costi. «In tutta sincerità non mi sono posto questo problema», ha risposto Bandera al giudice che domandava perché a suo avviso il committente era la Fondazione Bambino Gesù. Secondo l’imprenditore, era Bertone che si era impegnato a voce a informare il Governatorato dei lavori.
Dalla testimonianza di Bandera emerge anche una serie di passaggi societari. A decidere i lavori – non tramite un vero e proprio contratto formale ma a valle di uno scambio di mail – è stata la società Castelli Re spa, che Bandera aveva acquistato poco prima. I lavori dell’appartamento vengono poi assunti da un’altra società dell’imprenditore, la Lg Contractor, che, a sua volta subappalta a due altre imprese italiane autorizzate dal Governatorato sebbene non siano tra le ditte accreditate in Vaticano, Valsecchi e Alstim. Il tutto mentre un’altra società, New Deal holding, si impegna per una donazione di 200mila euro, che alla fine però non effettua.
Il Tribunale, infine, ha deciso di convocare la Presidente del Bambino Gesù e il Direttore generale dell’Aif, dopo una loro iniziale richiesta di non testimoniare nel Tribunale vaticano (la prima ha depositato una memoria, per il primo era arrivata al collegio una richiesta dell’Aif di sollevare Di Ruzza «per motivi di intelligence»).
L’avvocato Alfredo Ottaviani, difensore di Massimo Spina, ha chiosato con una battuta, andando a trovare una norma vigente in Vaticano nel passato remoto e abrogata nel 1877 che dispensava le donne dal comparire a processo: «Forse – ha detto in riferimento a Enoc – si rifà a questa disposizione…».
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