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Fabio Amendolara per La Verità
La talpa del caso Consip non era nascosta nella Procura partenopea e dopo tre mesi d' indagine i magistrati di Roma hanno deciso di chiedere l' archiviazione per il pm Henry John Woodcock e per la bionda conduttrice Rai Federica Sciarelli. La fuga di notizie con i giornali, insomma, si è trasformata in un bluff e la tesi del complotto, urlata dagli spalti renziani, appare sempre più come una Caporetto per chi, come Matteo Renzi, aveva suonato la tromba chiedendo punizioni esemplari per i golpisti (sostenuto dai titoli del quotidiano La Repubblica) e poi ha fatto retromarcia derubricando le pesanti accuse in «sinistre coincidenze».
Che i due indagati avessero alibi di ferro era già noto ai lettori della Verità. A giugno, infatti, su queste colonne furono anticipati i contenuti del verbale della conduttrice di Chi l' ha visto?, che con Marco Lillo, autore della pubblicazione sul Fatto Quotidiano contestata dalla Procura di Roma, aveva parlato al telefono davanti a un testimone, il truccatore della Rai, di altre questioni e non certo di Consip.
Il pm anglonapoletano, invece, era a cena con altre persone (a riscontro c' è anche un prelievo bancomat nelle vicinanze del ristorante) nelle ore in cui avrebbe dovuto trovarsi con Lillo per scambiarsi informazioni riservate. La strana triangolazione trovata dai magistrati nei tabulati telefonici (Lillo chiama Sciarelli; Sciarelli chiama Woodcock) non era alla base della fuga di notizie. Caso chiuso.
Woodcock, poi, su questa inchiesta è stato sempre molto abbottonato con la stampa e qualche giorno dopo il 6 novembre (quando La Verità ha svelato l' esistenza dell' inchiesta napoletana su babbo Renzi e le preoccupazioni di quest' ultimo), con i cronisti di questo giornale aveva addirittura smentito l' esistenza dell' indagine con queste parole: «Io ormai mi occupo solo di camorra e di morti ammazzati. È una notizia falsa e chi la pubblica si candida a pagare un risarcimento a vita».
Erano proprio i giorni in cui avrebbe potuto intercettare babbo Renzi, perché autorizzato (il 17 novembre 2016) dal gip Mario Morra ma, come ha spiegato ai magistrati, non l' ha fatto per evitare ripercussioni sul referendum costituzionale, poi perso da Matteo Renzi. L' ennesimo tassello che smonta gli scenari da complotto.
L' alibi della toga napoletana ha trasferito i sospetti sull' ex capitano del Noe (ora maggiore) Gianpaolo Scafarto, con il profilo adatto alla parte, viste le accuse di falso e di rivelazione di segreti d' ufficio. Tra Lillo e Scafarto, però, i primi contatti telefonici registrati dai tabulati risalgono al 4 gennaio, ben dopo le fughe di notizie a vantaggio del giornale diretto da Marco Travaglio (20,21 e 22 dicembre).
Woodcock, poi, si è ritrovato indagato per concorso in falso insieme a Scafarto, per la parte dell' informativa depositata il 9 gennaio che riguardava la presenza di servizi segreti durante alcune attività di indagine su Consip. Il 7 luglio il pm anglonapoletano ha spiegato ai colleghi che suggerire alla polizia giudiziaria di riportare in un apposito capitolo delle loro informative fatti connessi all' indagine madre è una normale prassi investigativa.
Fu lui, insomma, a consigliare a Scafarto di fare un apposito capitolo dell' informativa sulle barbe finte. Allo stesso tempo non poteva sapere che gli accertamenti già fatti avevano escluso la presenza degli 007, mentre i carabinieri del Noe recuperavano la spazzatura nella sede della Romeo Gestioni. E anche per questa accusa c' è richiesta di archiviazione.
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